Con puntualità da cronometro elvetico, ogni inizio d'anno di questo periodo spunta la conclamata querelle che vede gli esecutivi di ogni colore e coalizione portare battaglia contro l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970). Con un misto di arroganza e di vittimismo, il ministro Fornero ha voluto delucidarci sulle necessità che impongono al suo Governo un ripensamento dell'architettura della norma, di concerto con i partiti e le parti sindacali. "Non deve essere un tabù", ha sostenuto.
Ora, bisognerebbe ricordare al ministro dalla lacrima facile che l'art. 18 non ha nulla a che vedere con la politica della flessibilità, o"flexsecurity", che il suo governo lobbista sta portando avanti seguendo le linee del "Business & Economics Program" varato dal Consiglio Atlantico, organo della Nato, e nel cui Advisor Group figura anche un certo Mario Monti. E la prima considerazione elementare che si dovrebbe opporre riguarda la collocazione stessa della norma all'interno del testo statutario, nel Titolo II dedicato alle "libertà sindacali": un corpo di regole dettate a tutela e salvaguardia del lavoratore, contraente debole nella negoziazione del rapporto di lavoro. I cantori dell'abrogazione, fra cui si distinguono le penne di Corriere e Repubblica, le voci del "padrone", Giavazzi e Ichino, sostengono che l'eliminazione di questo articolo non impedirebbe alle aziende italiane di continuare ad assumere e a crescere, magari dando spazio ai giovani precari.
Peccato che nessuno di questi autorevoli amici del padrone si degni di allegare argomentazione tenaci a corollario di questa retorica. L'unica risposta che sanno offrire, ripetuta a squarciagola come un disco che ripete una ninna nanna stonata, risiede nella necessarietà della flexsecurity che vincola la vita del lavoratore a delle "cards" (Flexi Card, e così via). Di cosa si tratta? Semplicemente di inserire il lavoratore all'interno di un circuito di carte di credito obbligatorie, con tanto di chip personalizzato sulla gestione del rapporto lavorativo. Un business, manco a dirlo gestito dalle banche. Il risultato finale dell'assalto portato dalle liberalizzazioni anche al corpo dei business poveri, quelli cioè con il potere d'acquisto più ridotto: salari dei dipendenti, pensioni e ovviamente ammortizzatori.
Anche la povertà, se ben sfruttata, può creare business.
Ora, bisognerebbe ricordare al ministro dalla lacrima facile che l'art. 18 non ha nulla a che vedere con la politica della flessibilità, o"flexsecurity", che il suo governo lobbista sta portando avanti seguendo le linee del "Business & Economics Program" varato dal Consiglio Atlantico, organo della Nato, e nel cui Advisor Group figura anche un certo Mario Monti. E la prima considerazione elementare che si dovrebbe opporre riguarda la collocazione stessa della norma all'interno del testo statutario, nel Titolo II dedicato alle "libertà sindacali": un corpo di regole dettate a tutela e salvaguardia del lavoratore, contraente debole nella negoziazione del rapporto di lavoro. I cantori dell'abrogazione, fra cui si distinguono le penne di Corriere e Repubblica, le voci del "padrone", Giavazzi e Ichino, sostengono che l'eliminazione di questo articolo non impedirebbe alle aziende italiane di continuare ad assumere e a crescere, magari dando spazio ai giovani precari.
Peccato che nessuno di questi autorevoli amici del padrone si degni di allegare argomentazione tenaci a corollario di questa retorica. L'unica risposta che sanno offrire, ripetuta a squarciagola come un disco che ripete una ninna nanna stonata, risiede nella necessarietà della flexsecurity che vincola la vita del lavoratore a delle "cards" (Flexi Card, e così via). Di cosa si tratta? Semplicemente di inserire il lavoratore all'interno di un circuito di carte di credito obbligatorie, con tanto di chip personalizzato sulla gestione del rapporto lavorativo. Un business, manco a dirlo gestito dalle banche. Il risultato finale dell'assalto portato dalle liberalizzazioni anche al corpo dei business poveri, quelli cioè con il potere d'acquisto più ridotto: salari dei dipendenti, pensioni e ovviamente ammortizzatori.
Anche la povertà, se ben sfruttata, può creare business.