La parola in sè è già un pregiudizio, osservava Nietzsche, ed è forse per questo che i tecnocrati dell'Europa finanziaria hanno ribattezzato i paesi dell'area mediterranea "PIGS" (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), acronimo tutt'altro che simpatico, e che nulla ha a che vedere con il lessico corrente del linguaggio economico. Ciò che preme sottolineare è che proprio questi paesi siano attraversati, negli ultimi giorni, da un'ondata di proteste e sommosse da parte del proletariato che contribuisce a surriscaldare ulteriormente il clima più che mite che avvolge l'Europa mediterranea. E sono, primi tra tutti, i lavoratori spagnoli e greci ad aver raggiunto un grado di consapevolezza che si potrebbe definire apprezzabile.
Se è vero che la crisi è generale, ed ha colpito indifferentemente la stessa classe sociale in maniera netta ad ogni latitudine, è altrettanto evidente che non tutti i lavoratori dei singoli aggregati nazionali si sono trovati in condizione di saperne leggere tra le righe e, di conseguenza, con gli strumenti adatti a fronteggiare la debacle creata dall'overdose finanziaria del capitale. I lavoratori greci sono stati i primi a sollevarsi, anche in virtù di una cronologia degli eventi che, per loro, è stata più nefasta che altrove. Ma se le elezioni politiche non hanno sortito l'effetto sperato per il proletariato greco, non si può non ricordare che le sacche di resistenza al potere centrale dell'eurogruppo finanziario non sono mai mancate ad Exarchia e dintorni. Tant'e vero che, ad oggi, la grosse koalition capitanata dal pupo Samaras è sempre più vicina all'ennesimo ribaltone. Ma nella veduta d'insieme del panorama greco, il dato senza dubbio più rilevante è che la classe subalterna ateniese ha capito il trucco: e cioè che la ricetta al male assoluto non è di certo rappresentata dall'attesa dell'uomo della Provvidenza, nè tantomeno dai costi iperbolici della politica. Il problema vero è che la sovrastruttura politica dà solo la forma esteriore al vero potere, quello di estrazione bancario-finanziaria, lo stesso che ha truccato, letteralmente, il bilancio di cassa della Grecia portando il paese al collasso.
Una consapevolezza finora latente ma che sembra emergere anche nella battaglia dei lavoratori iberici. E' bastato vedere ciò che accadeva ieri a Madrid, con la Guardia Civil di estrazione franchista pronta a riciclarsi in ogni stagione per obbedire ai comandi della troika, con l'intermediazione governativa, proprio all'ombra delle Cortès. Questa coscienza sociale collettiva di certo non manca ai lavoratori baschi, che, come ogni 26 Settembre, hanno dato vita ad uno sciopero generale di 24 ore, il quinto in soli tre anni. Tutto ciò mentra a pochi chilometri di distanza il governo portoghese dava il là all'ennesimo taglio, questa volta ai contributi dei lavoratori, i cui salari nominali sono ormai in picchiata in termini assoluti (a tutti i gradini, cioè, della scala sociale).
Ciò che ancora sembra mancare è un'interconnesione sovranazionale tra i movimenti, che dia vita ad un atto di sommossa veramente europeo contro i bancarottieri fraudolenti della finanza. Un passo veramente importante, e forse decisivo, per comprendere che anche lo Stato in quanto tale è l'ennesima invenzione dei padroni per mettere all'angolo le masse come un pugile suonato. L'ora é scoccata anche per i movimenti italiani che, a parte qualche eccezione ben radicata, sono ancora fermi al palo: la lotta è comune, perchè di tutti è la posta in gioco.
Se è vero che la crisi è generale, ed ha colpito indifferentemente la stessa classe sociale in maniera netta ad ogni latitudine, è altrettanto evidente che non tutti i lavoratori dei singoli aggregati nazionali si sono trovati in condizione di saperne leggere tra le righe e, di conseguenza, con gli strumenti adatti a fronteggiare la debacle creata dall'overdose finanziaria del capitale. I lavoratori greci sono stati i primi a sollevarsi, anche in virtù di una cronologia degli eventi che, per loro, è stata più nefasta che altrove. Ma se le elezioni politiche non hanno sortito l'effetto sperato per il proletariato greco, non si può non ricordare che le sacche di resistenza al potere centrale dell'eurogruppo finanziario non sono mai mancate ad Exarchia e dintorni. Tant'e vero che, ad oggi, la grosse koalition capitanata dal pupo Samaras è sempre più vicina all'ennesimo ribaltone. Ma nella veduta d'insieme del panorama greco, il dato senza dubbio più rilevante è che la classe subalterna ateniese ha capito il trucco: e cioè che la ricetta al male assoluto non è di certo rappresentata dall'attesa dell'uomo della Provvidenza, nè tantomeno dai costi iperbolici della politica. Il problema vero è che la sovrastruttura politica dà solo la forma esteriore al vero potere, quello di estrazione bancario-finanziaria, lo stesso che ha truccato, letteralmente, il bilancio di cassa della Grecia portando il paese al collasso.
Una consapevolezza finora latente ma che sembra emergere anche nella battaglia dei lavoratori iberici. E' bastato vedere ciò che accadeva ieri a Madrid, con la Guardia Civil di estrazione franchista pronta a riciclarsi in ogni stagione per obbedire ai comandi della troika, con l'intermediazione governativa, proprio all'ombra delle Cortès. Questa coscienza sociale collettiva di certo non manca ai lavoratori baschi, che, come ogni 26 Settembre, hanno dato vita ad uno sciopero generale di 24 ore, il quinto in soli tre anni. Tutto ciò mentra a pochi chilometri di distanza il governo portoghese dava il là all'ennesimo taglio, questa volta ai contributi dei lavoratori, i cui salari nominali sono ormai in picchiata in termini assoluti (a tutti i gradini, cioè, della scala sociale).
Ciò che ancora sembra mancare è un'interconnesione sovranazionale tra i movimenti, che dia vita ad un atto di sommossa veramente europeo contro i bancarottieri fraudolenti della finanza. Un passo veramente importante, e forse decisivo, per comprendere che anche lo Stato in quanto tale è l'ennesima invenzione dei padroni per mettere all'angolo le masse come un pugile suonato. L'ora é scoccata anche per i movimenti italiani che, a parte qualche eccezione ben radicata, sono ancora fermi al palo: la lotta è comune, perchè di tutti è la posta in gioco.