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Scambio alla pari

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Category: Editoriali
By Giovanni Apadula
Giovanni Apadula
08.Oct
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Alla fine ha vinto ancora lui, pur zavorrato nel corso dell'ultimo anno da un male che sembrava incurabile e dal quale è guarito grazie all'eccellente preparazione dei medici cubani (Cuba ha scuole di specializzazione ed un sistema sanitario tra i primi al mondo). Alla fine ha vinto sempre lui, nonostante campagne di destabilizzazione sempre pronte a scatenarsi alla vigilia di ogni evento clou, specie se elettorale, specie se riguardante quello che, una volta, era il "giardino sul retro" della democrazia made in Usa. E' un osso troppo duro da battere, Hugo Chavez, o semplicemente è un Presidente che, nonostante limiti personali e collettivi di un paese che soltanto di recente ha saputo rinascere dalle ceneri distruttive ed infamanti del Plan Condor, riesce nel difficile intento di amministrare nell'interesse comune, malgrado tentativi continui ed insolenti di interferire nelle dinamiche di crescita del Venezuela, uno dei paesi capofila dell'integrazionismo.

Ciò nonostante, sin da stamane la stampa filo-occidentale si è scatenata nell'esercizio stilistico di dare addosso al neoeletto presidente, tentando di recitare un "de profundis" quanto più possibile pervicace e convincente. E al tempo stesso menzognero. "Vince, ma non stravince e non convince", "E' ancora presidente, nonostante il calo di consensi", "Forte astensionismo", "Ventennio" (un paragone che, più che azzardato, è profondamente ingorante): e, per ragioni di spazio, mi soffermo ai soli titoli meno incalzanti. E mi sembra anche il caso di aggiungere che i nostri quotidiani, con la lucidità e la prontezza di un indovino alle prime armi, davano già per spacciato il presidente uscente, inneggiando al tanto agognato cambio di registro da attuarsi con l'ascesa dello sfidante Capriles.

Ora, sarebbe opportuno ricordare almeno due dati. Il primo, è che Chavez ha vinto in 23 distretti su 23, facendo registrare un en-plein che nemmeno un plebiscito tout-court sarebbe in grado di assicurare. In secundis, Chavez ha ricevuto il 54% delle preferenze contro il 44% dell'avversario, ma soprattutto alle urne si è recato oltre l'80% degli aventi diritto, un dato che nelle più celebrate democrazie mondiali verrebbe raggiunto a stento (figuriamoci qui da noi). Segno che in Venezuela la politica è considerata una cosa piuttosto seria. Sin dal suo primo mandato, nel 1999, l'ex militare ha impostato una politica improntata alla critica totalizzante e perentoria della società, avviluppata com'era dal mulinello torbido di un liberismo marciscente, imposto dall'alto a furia di golpe e dittature militari endemiche nell'America Latina del secondo Novecento. Facendo leva sulle forze nuove emergenti dalle istanze popolari, Chavez ha saputo ridare linfa, voce e dignità a genti in naufragio perenne da troppo tempo, qualunque sia stato il metodo d'imperio da lui utilizzato (e che va, sempre, storicamente inquadrato nelle dinamiche sociali, economiche e politiche attraversate dal paese).

Insomma, ciò che qui preme sottolineare, è che alle nostre penne di punta proprio non va giù il fatto che abbia vinto, anzi rivinto, ancora stravinto, per la quarta volta consecutiva, un uomo che nel corso dei suoi mandati ha aumentato i salari minimi (l'ultima volta, lo scorso Aprile, sino ad una punta del 32%), ha allungato le ferie, ha investito in edilizia e progetti sociale e politiche di inclusione, ha fermato le derive liberisticide delle multinazionali straniere nazionalizzando settori ed imprese, ha dato nuovo respiro alla linfa socialista sdoganata con altri padri dell'integrazionismo come Lula e Kirchner, ha resistito ad un tentativo di golpe militare ordito nei suoi confronti nel 2002, salvo poi essere issato nuovamente al potere con una rivolta del suo popolo, ha detto "no" alle basi militari Usa nel suo paese (per chiunque fosse interessato, considero illuminante il lavoro di John Pilger, "The war on democracy"). A queste penne, più in generale, non va proprio giù che quel continente latinoamericano ("il più progressista al mondo", parola di Noam Chomsky) sia oggi il più importante ed autorevole laboratorio politico e sociale, e che loro ad ogni modo vogliono inquadrare nella cornice, apologeticamente propugnata, del "post-ideologismo".

Codeste guide illuminanti, pronte a gridare al regime ed agli scandali gossippari ogni volta che par loro buono, e ad urlare al "regime", parola evergreen buona per ogni occasione, preferiscono l'aplomb e lo stile compassato di un governo tecnico, meglio ancora se nemmeno eletto dai cittadini, ma imposto da un golpe istituzionale. E, visto che appaiono tanto preoccupati dalle sorti democratiche della popolazione venezuelana, si potrebbe addirittura profilare l'ipotesi di avanzare una proposta "umanitaria" a quelle persone: uno scambio alla pari, Monti per Chavez. O per caso hanno paura che questo paese sia governato da uno per davvero di sinistra?
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