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Napolitano, dal Partito Comunista a "Re Giorgio"

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Category: Editoriali
08.Dec
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napolitano_3IL COMMENTO. La rubrica settimanale del New York Times, "The Saturday Profile", ha incoronato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la sua capacità di "gestire uno dei trasferimenti politici più complessi del dopoguerra", quello verso il governo Monti, che piace a Obama, piace a Merkozy, piace al NewYork Times, ma non è ancora chiaro quanto piaccia ai mercati. Non è un tipo taciturno il nostro presidente, vivaddio. Ha parlato forte e qualche volta chiaro. Ha bacchettato di dritto e di rovescio. Ha persuaso moralmente e in certi casi anche materialmente. Si è fatto sentire anche dai sordi, il capo dello Stato. Ha chiesto e ottenuto che una mozione di sfiducia venisse dibattuta e votata un mese e passa dopo la presentazione: solo chi ha un'idea approssimativa delle dinamiche parlamentari penserà che si tratti di un'inezia. Ha dimesso d'autorità un presidente del Consiglio e ne ha nominato a ruota un altro senza nemmeno aspettare la primissima consultazione. Giusto per evitare il rischio che qualcuno se ne venisse fuori con una proposta in proprio, come Carta comanda. Pardon, comanderebbe.

E' un tipo loquace, Giorgio Napolitano. Se subodora un certo malcontento per quelle misure che ieri sarebbero state macelleria sociale e oggi sono dolorosi ma inevitabili sacrifici non esita a intervenire lesto. Abbiamo evitato per un pelo la catastrofe, chi non vota con noi peste lo colga. In questo Paese che è un paesetto e non avendo alcuna fiducia in se stesso deve per forza affidarsi al sant'uomo di turno, meglio se somigliante a nonno Libero, ha un potere e un peso incommensurabili questo nostro presidente. E allora, perché non parla? Perché, con la stessa determinazione con cui ha invocato e imposto il rigore, non reclama ora anche l'equità? Al mondo di catastrofi ce ne sono tante. Per molti il rinvio della pensione di anni e anni è precisamente questo: una catastrofe che sconvolge progetti di vita, vanifica strategie familiari, condanna alla rovina non il Paese ma i suoi abitanti. Sarà certo molto meglio, ma i rovinati stentano a comprenderlo.

Anche questa catastrofe potremmo forse evitarcela in extremis, presidente, se solo lei e il più recente tra i senatori a vita consideraste l'ipotesi di chiedere ai ladroni rientrati in patria con i forzieri pieni una parte del bottino e non solo gli spiccetti. O quella di far pagare chi, non pagando mai niente, si è messo da parte un patrimonio. Certe proposte sono bestemmie quando a suggerirle sono i comuni mortali, ma il più amato tra i presidenti potrebbe suggerire di soprassedere sull'acquisto di 135 aerei da guerra per la modica cifretta di 18 miliardi, tre quarti della manovra, senza essere per questo deferito alla corte marziale dall'ammiraglio che ci fa da ministro della Difesa. Come si conviene nelle giunte, un po' meno nei governi. Possibile che solo di fronte all'ingiustizia, all'iniquità e alla vessazione le parole adatte tra i potenti di questo Paese non le trovi mai nessuno? Nemmeno i santi. Nemmeno i Presidenti.
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