Ci sono pochi dubbi, deve essere stata l'ultima guapponeria del kapò in cachemire a spingere il presidente americano Barack Obama ad arruolare Sergio Marchionne come testimonial in uno spot elettorale contro l'avversario repubblicano Mitt Romney. In un paese fagocitato dalle politiche di austerity decise da un governo tecnico-squadrista, succede che un giudice nazionale, per la precisione la Corte d'Appello di Roma, statuisca con ordinanza il reintegro di 19 operai Fiom alla newco di Pomigliano, entro il termine di 40 giorni. E succede altresì che un manager in maglioncino flanellato, al tempo stesso, dia esecuzione alla decisione, ma solo a mezzo della messa in mobilità di altri 19 operai dello stesso stabilimento, convalidando così una strategia "sliding doors" avallata con la complicità, palese e meschina, dell'intero arco costituzionale nostrano, delle principali targhe sindacali e della totale assenza di una reazione credibile e ben capillarizzata. Del resto, la politica estera applicata a partire da Monroe da parte dei governi statunitensi non è stata altro che un'amplificazione su scala mondiale della strategia adoperata dall'a.d. all'interno dei suoi stabilimenti.
Il problema, repetita iuvant, non è certo Marchionne, ma quanto di più subdolo ed inumano egli rappresenti. Non è un caso che proprio il pragmatismo culturale anglo-americano si presti perfettamente a questo tipo di discorso. Il Settecento, secolo delle "rivoluzioni" industriali ed intellettuali, si è caratterizzato soprattutto come il momento della reductio ad unum di tutte le complessità del passato. In campo scientifico-filosofico, la riduzione colpì la qualità a vantaggio degli elementi quantitativi del discorso, già a partire da Galileo. In campo politico, invece, si assistette alla riduzione dei poteri dei signori feudali, in nome del "diritto astratto" di tutti all'uguaglianza di fronte alla legge, cui si è accompagnata una legislazione coerente, omogenea ed organica anche in campo giuridico (basti pensare al Codice Giuseppino). Il leit-motiv delle rinnovate istanze era quello dello "stato di natura", dietro il quale si nascondevano le forze primigenie che avevano permesso la rottura dei vecchi schemi di Ancien Régime: quelle della società borghese.
Nella weltanschauung complessiva della rivoluzione borghese, il punto nodale era rappresentato dalla dissociazione del risultato dal processo storico che l'aveva determinato. Non è un caso che le principali formazioni politiche inglesi ed americane, tories e wighs da un lato, repubblicani e democratici dall'altro, non abbiano mai, sin dalla loro nascita, posto in discussione la sacralità del dogma della proprietà privata, che iniziava ad assumere consistenza già nell'Inghilterra di Enrico VIII, laddove ormai "le pecore, di solito così miti, cominciano ad essere così affamate ed indomabili da mangiarsi persino gli uomini". Come non è un caso che queste stesse siano state, in soldoni, la semplice sovrastruttura politica di organismi economici che, nella sostanza, assumevano le principali decisioni politiche, salvo poi ottenerne la ratifica livello istituzionale: prova ne sia la riforma sanitaria promulgata da Obama, fatta su misura per i think thank del conservatorismo stars and stripes e per le compagnie di assicurazione, e non a caso ritenuta costituzionale dalla Corte Suprema proprio in tempi recenti.
Le multinazionali americane sono, né più né meno, ciò che Marchionne è per il paese e per la classe lavoratrice: lo sguardo truce e disumano del capitale, di cui la forma statale (e comunitaria) costituiscono l'espressione visibile e pattizia. Marchionne, da "buon capitalista", avverte come strette anche le ultime sacche di welfare attualmente in circolo nella vita socioeconomica, e reagisce da un lato tentando di scardinarle, dall'altro per misurare la reazione del contraente debole. Da par suo è un ganglo integrante di un sistema che tenta di ridurre, ancora una volta, al minimo complessità e complicazioni. Se nel '700 (periodo giacobino) e nell'800 (il '48 europeo e poi la Comune Parigina) la reazione allo status quo avvenne sempre a seguito della consapevolezza storica che l'ordine instaurato dalla rivoluzione borghese non era affatto egualitario, e che una conseguenza politica era pertanto necessaria, ora questa lucidità storica e culturale sembra mancare, soprattutto alla luce del totale vuoto escatologico della sinistra europea.
Il problema, repetita iuvant, non è certo Marchionne, ma quanto di più subdolo ed inumano egli rappresenti. Non è un caso che proprio il pragmatismo culturale anglo-americano si presti perfettamente a questo tipo di discorso. Il Settecento, secolo delle "rivoluzioni" industriali ed intellettuali, si è caratterizzato soprattutto come il momento della reductio ad unum di tutte le complessità del passato. In campo scientifico-filosofico, la riduzione colpì la qualità a vantaggio degli elementi quantitativi del discorso, già a partire da Galileo. In campo politico, invece, si assistette alla riduzione dei poteri dei signori feudali, in nome del "diritto astratto" di tutti all'uguaglianza di fronte alla legge, cui si è accompagnata una legislazione coerente, omogenea ed organica anche in campo giuridico (basti pensare al Codice Giuseppino). Il leit-motiv delle rinnovate istanze era quello dello "stato di natura", dietro il quale si nascondevano le forze primigenie che avevano permesso la rottura dei vecchi schemi di Ancien Régime: quelle della società borghese.
Nella weltanschauung complessiva della rivoluzione borghese, il punto nodale era rappresentato dalla dissociazione del risultato dal processo storico che l'aveva determinato. Non è un caso che le principali formazioni politiche inglesi ed americane, tories e wighs da un lato, repubblicani e democratici dall'altro, non abbiano mai, sin dalla loro nascita, posto in discussione la sacralità del dogma della proprietà privata, che iniziava ad assumere consistenza già nell'Inghilterra di Enrico VIII, laddove ormai "le pecore, di solito così miti, cominciano ad essere così affamate ed indomabili da mangiarsi persino gli uomini". Come non è un caso che queste stesse siano state, in soldoni, la semplice sovrastruttura politica di organismi economici che, nella sostanza, assumevano le principali decisioni politiche, salvo poi ottenerne la ratifica livello istituzionale: prova ne sia la riforma sanitaria promulgata da Obama, fatta su misura per i think thank del conservatorismo stars and stripes e per le compagnie di assicurazione, e non a caso ritenuta costituzionale dalla Corte Suprema proprio in tempi recenti.
Le multinazionali americane sono, né più né meno, ciò che Marchionne è per il paese e per la classe lavoratrice: lo sguardo truce e disumano del capitale, di cui la forma statale (e comunitaria) costituiscono l'espressione visibile e pattizia. Marchionne, da "buon capitalista", avverte come strette anche le ultime sacche di welfare attualmente in circolo nella vita socioeconomica, e reagisce da un lato tentando di scardinarle, dall'altro per misurare la reazione del contraente debole. Da par suo è un ganglo integrante di un sistema che tenta di ridurre, ancora una volta, al minimo complessità e complicazioni. Se nel '700 (periodo giacobino) e nell'800 (il '48 europeo e poi la Comune Parigina) la reazione allo status quo avvenne sempre a seguito della consapevolezza storica che l'ordine instaurato dalla rivoluzione borghese non era affatto egualitario, e che una conseguenza politica era pertanto necessaria, ora questa lucidità storica e culturale sembra mancare, soprattutto alla luce del totale vuoto escatologico della sinistra europea.