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Politica, quando l'Europa svolta a destra

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Category: Editoriali
By Giovanni Apadula
Giovanni Apadula
21.Nov
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L'OPINIONE. La svolta conservatrice imboccata soltanto ieri dalla Spagna costituisce l'ennesima riprova di un "rigurgito nero" che ha ormai inghiottito l'Eurozona in un abisso apparentemente senza fondo. Non tengono le barriere e gli appelli allarmistici lanciati alla vigilia dai socialisti spagnoli, la cui sconfitta è figlia più di una politica dissennata e iperliberista che della forza politica dell'avversario di turno, i popolari di Mariano Rajoy, già sconfitti nella precedente tornata dal partito dell'ex primo ministro Zapatero.

Il dato che emerge, evidente, dalle consultazioni iberiche, e che più spicca insieme al forte astensionismo, è senza dubbio costituito dalla progressiva erosione della differenza di classe, sociale ed economica, che spinge sempre più gli elettori a dirottare la propria preferenza verso partiti ultra-conservatori, da tempo attecchiti alla politica attiva. Si badi, è un dato che caratterizza tutta la vecchia Europa. Paura di un'esistenza precaria, della povertà, del diverso ma anche del simile; è così che il capitale dirotta il tradizionale conflitto intrapreso col lavoro salariato sul terreno puro di quest'ultimo: non più lavoratori schiavizzati contro padroni, ma poveri contro poveri. Con la politica ad aumentare, e ad esacerbare violentemente, questa contraddizione ormai radicata dei nostri tempi.

Dalla sempre liberale Olanda, dove fa terra bruciata il PVV di Geert Wilders, alla balbettante e storica socialdemocrazia dei paesi scandinavi, dall'asse spaventoso franco-tedesco all'esecutivo "bancario" italiano, sino alle formazioni paramilitari di Ungheria e Romania. L'Europa pare tornata ai primi del '900, ad un romanticismo pericolosamente narcisistico ed individualistico, anticamera triste di un cieco nazionalismo. Ma, così come il placido e spaventoso Rajoy deve la sua fortuna più alla evanescenza tragica dell'avversario che alle sue capacità, anche l'attuale equilibrio geopolitico europeo pare essere figlio della crisi irreversibile delle sinistre. Quale è oggi il ruolo, anche internazionale, della sinistra?

I governi a guida socialista di Spagna, Portogallo ed Irlanda hanno pagato a caro prezzo la loro incapacità di saper leggere la tragedia greca, cedendo senza colpo ferire al ricatto imposto dalla BCE e dall'Unione Europea, pur sapendo che la ratifica del piano di salvataggio avrebbe ulteriormente peggiorato la situazione. Qual'è dunque la matrice del problema, se non quella di carattere culturale? Probabilmente, in tempi diversi, la sinistra europea sarebbe stata in grado di leggere la situazione con gli strumenti culturali che le sono storicamente propri. Avrebbe denunciato la devastazione e la palese sopraffazione del vigente sistema europeo, che toglie quel poco che hanno ai poveri per gonfiare le casse dei ricchi. Lo si è visto sul terreno dei beni comuni, quando numerosi partiti socialisti d'Europa si sono nettamente schierati sul versante delle privatizzazioni. Quando la crisi ha strangolato molti paesi dell'Europa mediterranea, la ricetta di questi partiti, quasi sempre al governo, è stata quella di ridurre drasticamente il numero di dipendenti pubblici, tagliarne il salario, distruggere il sistema scolastico.

Di fronte al rigurgito fascista e classista che coinvolge l'Europa, sembra necessario un recupero, o comunque un'autonoma creazione, di un'identità culturale da parte delle sinistre. Senza queste premesse, dovremmo accontentarci dei Zapatero, dei Socrates, dei Papandreou, dei Bersani. Uomini di paglia, al servizio del capitale.

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