
Acqua Bene Comune? SI SI! Mancano solo due giorni all'apertura dei seggi: IRNO.IT continua la sua campagna referendaria a favore del "SI" con l'analisi sugli ultimi due quesiti relativi al destino dell'acqua pubblica. Il primo (scheda colore rosso, quesito numero 1) concerne la richiesta di abrogazione dell'art. 23-bis, 12 commi, della l.133/2008, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Obiettivo del legislatore è di affidare la gestione del servizio idrico a soggetti privati, mediante gara, o a società a capitale misto, ove il privato è selezionato tramite gara e sia titolare di almeno il 40% delle quote. Il secondo quesito (scheda colore giallo, quesito numero 2) propone l'abrogazione dell'art. 154 del D.Lgs. 152/2006, comma 1, nella parte in cui prevede che la tariffa per il servizio idrico sia determinata tenendo conto della "adeguatezza della remunerazione del capitale investito". Tale disposizione consente al gestore dell'erogazione di addebitare sul costo della bolletta dell'utente un importo pari al 7% del capitale investito, a titolo di profitto e senza alcuna garanzia effettiva di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. Al di là dei discorsi sulla "appropriazione indebita" di un bene comune, come tale indisponibile, quali sono le ragioni politiche che sottendono alle scelte del legislatore? La giustificazione che viene data a questa deriva neoliberista (che accomuna Italia e Francia, e che trae origine dalle speculazioni della Banca Mondiale) è costituita dal progressivo esaurimento delle risorse idriche funzionali al consumo umano (acqua "di qualità"), causato dalla crescita continua della popolazione mondiale e dalle difficoltà a reperire acqua di qualità. Un processo disgregativo che rischia di essere accelerato dalle ripercussioni negative dei cambiamenti climatici. Di qui, l'esigenza di affidare la gestione di una risorsa in esaurimento a "gruppi di settore" di carattere prevalentemente privatistico, che sappiano garantire l'uso corretto delle risorse disponibili e la più ampia efficienza. Si tratta, però, di una costruzione argomentativa che presenta non poche pecche. La prima risiede nel voler assegnare un valore economico all'acqua, inserendola nel circuito di una economia di mercato, allo scopo di incentivare i grossi gruppi industriali e finanziari a investire nel settore: migliaia di miliardi di euro sulla base delle stime del "2030 Water Resources Group" (composto, fra gli altri, da Nestlè e Coca-Cola). L'acqua come "prodotto finanziario", bene di mercato, con un ben definito valore di scambio, e non più come dono naturale, "human right", complemento necessario per la vita libera dell'individuo. Una logica puramente monetaria, che non guarda all'integrazione dell'intero ciclo del servizio, ma prodromo di una eccessiva segmentazione, una cesura netta tra le varie fasi, nella cornice acquisita della "specializzazione dei saperi". Il tutto avverrebbe nella convinzione (seconda pecca) che le multinazionali private possano assicurare competenza, specializzazione, conoscenze. Di fronte al "savoir (laissez?) faire" del privato, il pubblico deve necessariamente lasciare il passo, perché non può avere i mezzi economici, finanziari, strumentali e programmatici per reggere il passo, ed assicurare la giusta fruizione e l'adeguato godimento di beni e servizi di interesse generale. Un'ingerenza nel campo dei beni comuni senza precedenti. Come incrementare la produttività dell'acqua, secondo questa logica? Essenzialmente attraverso il trattamento delle acque sporche e reflue (come già accade a Singapore) e la desalificazione dell'acqua marina. Con il dubbio, più che legittimo, fondato sull'assunto che l'intero ciclo sia gestito con capitali privati e secondo le logiche e le regole di un'economia di mercato. Quale legittimazione può avere una simile dinamica, secondo i suoi sostenitori? Che la crisi dell'acqua è irreversibile, e che come tale può essere contenuta soltanto sulla base di questi criteri. Una prospettiva logica del tutto infondata ed indimostrata, che stride con palese evidenza con le conquiste ottenute negli ultimi dieci anni in tema di "carattere pubblico" della gestione del servizio idrico, in modo particolare grazie al contributo di alcuni governi dell'America Latina. Ad ogni modo, il marketing delle "industrie dell'acqua" sembra, al momento, avere attecchito nel pensiero di molti, con la costruzione di un discorso apparentemente inattaccabile, tale da ergersi a framing inossidabile. Non ci sono dubbi: per tutti i motivi che abbiamo avuto modo di snocciolare, riteniamo che la scelta migliore sia quella di votare "SI" ai 4 quesiti referendari. E soprattutto di accorrere numerosi alle urne, poiché la legge costituzionale prevede la necessità del voto del 50% + 1 degli aventi diritto, ai fini della validità della deliberazione popolare.