E' notizia giustappena di ieri: per Fiat è il peggior Marzo da 32 anni a questa parte, con le vendite del Lingotto che in Italia crollano al -35,6% e il settore delle immatricolazioni che si attesta al -26,7% rispetto ai dati dello stesso periodo nello scorso anno. Numeri evidenti, numeri di una crisi profonda che non sembra conoscere sbocchi, e che intacca profondamente la struttura e la credibilità manageriale dell'azienda. Ma per il serafico Marchionne, uno che facendosi crescere la barba pensa di avere la ricetta magica per eludere ogni disguido, le cose non stanno così.
"Si tratta di un mercato orribile - sottolinea da Torino l'italo-canadese, ammantato da sciroppo d'acero - la colpa è dello sciopero delle bisarche, ma non solo". Dunque a detta di Marchionne quei lavativi dei bisarchisti avrebbero mandato al macero la produttività dell'azienda con qualche giorno di sciopero. Peccato, per il Nostro, che le cose non stiano esattamente così. Fiat è in crisi, da tempo, per milioni di motivi che non abbracciano quest'ultimo e che ovviamente l'amministratore delegato stenta a far uscire dalle trincee abbottonate del suo golfino. Lo è innanzitutto per una mediocrità intrinseca, qualitativa, del prodotto, che non regge il confronto in Europa, quello stesso piano europeo sul quale Marchionne vorrebbe risolvere il problema "dell'eccesso di capacità produttiva".
Lo è in secondo luogo, e soprattutto, perchè le scelte acrobatiche del suo amministratore delegato, specie nel mercato del lavoro, si sono rivelate altamente fallimentari. Il manager a digiuno di studi economici, ignaro che globalizzazione, finanza folle e trasferimento di patrimoni da capitale a lavoro hanno condotto alla prevedibile implosione del capitalismo, ha voluto venderci la fuffa che i problemi del colosso automobilistico che cura avevano la genesi primaria nei diritti dei lavoratori. Ed ora, a dargli torto, sono non soltanto quegli stessi operai che lui ha più volte stigmatizzato, ma anche le pronunce emblematiche che cominciano ad arrivare dalle aule di giustizia. Dapprima il reintegro dei tre operai espulsi da Melfi, con l'accusa di aver bloccato il carrello durante lo sciopero: un comportamento ritenuto "antisindacale" dal giudice del lavoro. E poi, giusto 4 giorni fa, l'accoglimento, da parte del Tribunale del Lavoro di Bologna, del ricorso presentato dalla Fiom contro la Magneti Marelli, per "comportamento antisindacale" dei vertici di quest'ultima, che avevano escluso i delegati delle tute blu della Cgil dalle rappresentanze sindacali all'interno dell'azienda. E solo nell'arco dell'ultimo anno Fiat è stata condannata ben altre tre volte per comportamento antisindacale.
Insomma quest'Italia sembra avercela proprio tanto con Marchionne. Prima quei trinariciuti degli operai di Pomigliano, con un atto di grande e ineguagliabile dignità, rifiutano di sottostare ai suoi ricatti. Poi i bisarchisti decidono di scioperare. Poi ci si mettono anche le aule giurisdizionali a disporre reintegri qui e là. E lui, povero, che ce l'ha messa tutta per far chiudere Termini Imerese, e che sta provando ad affossare anche Pomigliano e Mirafiori! Caro Sergio, i tempi sono duri; quasi quasi potresti chiudere baracca e burattini e portare tutto a Belgrado, accanto a Philipp Morris. O in Polonia, o anche a Detroit. Ovviamente tutto a spese nostre, ci mancherebbe.
"Si tratta di un mercato orribile - sottolinea da Torino l'italo-canadese, ammantato da sciroppo d'acero - la colpa è dello sciopero delle bisarche, ma non solo". Dunque a detta di Marchionne quei lavativi dei bisarchisti avrebbero mandato al macero la produttività dell'azienda con qualche giorno di sciopero. Peccato, per il Nostro, che le cose non stiano esattamente così. Fiat è in crisi, da tempo, per milioni di motivi che non abbracciano quest'ultimo e che ovviamente l'amministratore delegato stenta a far uscire dalle trincee abbottonate del suo golfino. Lo è innanzitutto per una mediocrità intrinseca, qualitativa, del prodotto, che non regge il confronto in Europa, quello stesso piano europeo sul quale Marchionne vorrebbe risolvere il problema "dell'eccesso di capacità produttiva".
Lo è in secondo luogo, e soprattutto, perchè le scelte acrobatiche del suo amministratore delegato, specie nel mercato del lavoro, si sono rivelate altamente fallimentari. Il manager a digiuno di studi economici, ignaro che globalizzazione, finanza folle e trasferimento di patrimoni da capitale a lavoro hanno condotto alla prevedibile implosione del capitalismo, ha voluto venderci la fuffa che i problemi del colosso automobilistico che cura avevano la genesi primaria nei diritti dei lavoratori. Ed ora, a dargli torto, sono non soltanto quegli stessi operai che lui ha più volte stigmatizzato, ma anche le pronunce emblematiche che cominciano ad arrivare dalle aule di giustizia. Dapprima il reintegro dei tre operai espulsi da Melfi, con l'accusa di aver bloccato il carrello durante lo sciopero: un comportamento ritenuto "antisindacale" dal giudice del lavoro. E poi, giusto 4 giorni fa, l'accoglimento, da parte del Tribunale del Lavoro di Bologna, del ricorso presentato dalla Fiom contro la Magneti Marelli, per "comportamento antisindacale" dei vertici di quest'ultima, che avevano escluso i delegati delle tute blu della Cgil dalle rappresentanze sindacali all'interno dell'azienda. E solo nell'arco dell'ultimo anno Fiat è stata condannata ben altre tre volte per comportamento antisindacale.
Insomma quest'Italia sembra avercela proprio tanto con Marchionne. Prima quei trinariciuti degli operai di Pomigliano, con un atto di grande e ineguagliabile dignità, rifiutano di sottostare ai suoi ricatti. Poi i bisarchisti decidono di scioperare. Poi ci si mettono anche le aule giurisdizionali a disporre reintegri qui e là. E lui, povero, che ce l'ha messa tutta per far chiudere Termini Imerese, e che sta provando ad affossare anche Pomigliano e Mirafiori! Caro Sergio, i tempi sono duri; quasi quasi potresti chiudere baracca e burattini e portare tutto a Belgrado, accanto a Philipp Morris. O in Polonia, o anche a Detroit. Ovviamente tutto a spese nostre, ci mancherebbe.