C'è poco da fare: all'italiano classico piacciono gli strilloni conformati che urlano ai privilegi della cosiddetta "casta", i loro schiamazzi altisonanti travestiti da cronismo da'assalto, solitamente marchiati da gruppi editoriali che di privilegi (e contributi pubblici) ne hanno e non pochi. La contraddizione è il leit-motiv di questo paese complesso, abituato a stupire l'osservatore non meno di quanto esso stesso sia disposto a stupirsi.
Lo scandalo, recente, targato Lega ha riportato in auge il tema della pulizia necessaria nei quadri di partito, spostando ovviamente l'accento sulla negatività dei movimenti politici, sulla loro attuale "inutilità", su quanto siano ladroni i loro rappresentanti. Il precedente, perarltro fattuale e positivo, di una simile esigenza di fare "tabula rasa" va riscontrato nella stagione di Tangentopoli, che a molti era sembrata l'occasione propizia e sublime per azzerare i conti e ripartire da zero. Peccato che non ci si fosse resi conto che quello che andava profilandosi era pur sempre uno scontro tra poteri (quello giurisdizionale e quello politico in senso stretto) incapace di scendere ad un livello di analisi globale più dettagliato. Gli strascichi di quella lotta sono ancor oggi evidenti ai massimi livelli, e sono tuttora presenti perchè ciò che doveva cambiare non è affatto cambiato: il sistema. Era impossibile prospettare un ripensamento dell'asse politico, senza prima cercare di ridisegnarne un nuovo assetto sociale ed economico. E così, in questo vuoto di potere classico dei periodi di transizione da un regime ad un altro, ha potuto facilmente inserirsi il meccanismo dell'antipolitica, di cui Silvio Berlusconi è stato il primo e forse più grande rappresentante. Se un passaggio vi è stato, è stato quello dal nulla alla più assoluta povertà di contenuti.
Berlusconi ha saputo cavalcare come nessun altro il carrozzone dell'antipolitica, da simbolo di quell'Italia fanfarona un pò goffa e piaciona, dallo spiattellante sorriso evergreen in opposizione al grigiore truce ed inquietante dei Passera e dei Montezemolo. Se da un lato ha convogliato su di sè le simpatie e le attenzioni di milioni di elettori, dall'altro non ha potuto non scatenare la reazione pianificata dell'altra sponda dell'Italia padronale, che dell'antipolitica ne ha utilizzato mezzi ed espressioni, anche meglio del suo rivale. Solo l'antipolitica, infatti, poteva accentuare il senso di repulsioni moralizzante degli italiani nei confronti dei partiti, con la facile ricetta degli argomenti di facile presa. Non a caso l'attuale esecutivo è sempre molto ben disposto ad alzare la voce contro le magagne di formazioni partitiche ormai ammuffite.
Così è stato semplice per molti cronisti, afferenti a ben determinati gruppi editoriali, alzare il velo sui privilegi della casta, mostrarne la corruzione e gli sprechi, diffondere la strafottenza amplificandola sino all'eccesso, con salti mortali da elzeviristi, alimentando così l'indignazione dei cittadini verso un fenomeno che, piaccia o no, ha caratterizzato da sempre il teatro della politica: celando, in tal modo, il finanziamento ed il mantenimento di ben altri privilegiati, nascosti dal velo della politica ufficiale. Quello sdegno, così, è stato facilmente pilotato e continuamente alimentato, anche da personaggi improvvisamente riciclatisi arringatori da comizio dopo aver trascorso una vita da comici. Sarebbe bastato analizzare, tuttavia, chi finanziava quei reportage, chi di converso finanziava i movimenti partitici. Ne sarebbe risultato uno scontro tra titani nel quale i personaggi nell'occhio del ciclone interpretavano semplicemente il ruolo di figuranti. Quasi tutti, oggi, dimenticano il movente economico che muove la politica e tutti i suoi caratteristi, e plasma l'ordine sociale.
Probabilmente è questo il limite dei Grillo e dei grillini vari. Quello di voler gattopardianamente cambiare tutto perchè nulla cambi. Di volersi inserire all'interno di un sistema che non funziona e che tutto fa marcire, perchè subordinato ai diktat dell'universo finanziario. Gli attacchi indifferenziati di questi personaggi, ai rom come pure ai politici, sono l'effetto distorto di una cultura priva di riferimenti e che facilmente cede agli eversismi destrorsi.
Che il sistema alimentasse a sua volta l'antisistema "apparente", per ottenerne ricavi e vantaggi in termini economico-politici, lo si sapeva grazie ad un grande studioso quale Antonio Gramsci. Il guaio è che, dopo quasi un secolo, nessuno sembra esserci arrivato, pur avendo la risposta ad un palmo.
Lo scandalo, recente, targato Lega ha riportato in auge il tema della pulizia necessaria nei quadri di partito, spostando ovviamente l'accento sulla negatività dei movimenti politici, sulla loro attuale "inutilità", su quanto siano ladroni i loro rappresentanti. Il precedente, perarltro fattuale e positivo, di una simile esigenza di fare "tabula rasa" va riscontrato nella stagione di Tangentopoli, che a molti era sembrata l'occasione propizia e sublime per azzerare i conti e ripartire da zero. Peccato che non ci si fosse resi conto che quello che andava profilandosi era pur sempre uno scontro tra poteri (quello giurisdizionale e quello politico in senso stretto) incapace di scendere ad un livello di analisi globale più dettagliato. Gli strascichi di quella lotta sono ancor oggi evidenti ai massimi livelli, e sono tuttora presenti perchè ciò che doveva cambiare non è affatto cambiato: il sistema. Era impossibile prospettare un ripensamento dell'asse politico, senza prima cercare di ridisegnarne un nuovo assetto sociale ed economico. E così, in questo vuoto di potere classico dei periodi di transizione da un regime ad un altro, ha potuto facilmente inserirsi il meccanismo dell'antipolitica, di cui Silvio Berlusconi è stato il primo e forse più grande rappresentante. Se un passaggio vi è stato, è stato quello dal nulla alla più assoluta povertà di contenuti.
Berlusconi ha saputo cavalcare come nessun altro il carrozzone dell'antipolitica, da simbolo di quell'Italia fanfarona un pò goffa e piaciona, dallo spiattellante sorriso evergreen in opposizione al grigiore truce ed inquietante dei Passera e dei Montezemolo. Se da un lato ha convogliato su di sè le simpatie e le attenzioni di milioni di elettori, dall'altro non ha potuto non scatenare la reazione pianificata dell'altra sponda dell'Italia padronale, che dell'antipolitica ne ha utilizzato mezzi ed espressioni, anche meglio del suo rivale. Solo l'antipolitica, infatti, poteva accentuare il senso di repulsioni moralizzante degli italiani nei confronti dei partiti, con la facile ricetta degli argomenti di facile presa. Non a caso l'attuale esecutivo è sempre molto ben disposto ad alzare la voce contro le magagne di formazioni partitiche ormai ammuffite.
Così è stato semplice per molti cronisti, afferenti a ben determinati gruppi editoriali, alzare il velo sui privilegi della casta, mostrarne la corruzione e gli sprechi, diffondere la strafottenza amplificandola sino all'eccesso, con salti mortali da elzeviristi, alimentando così l'indignazione dei cittadini verso un fenomeno che, piaccia o no, ha caratterizzato da sempre il teatro della politica: celando, in tal modo, il finanziamento ed il mantenimento di ben altri privilegiati, nascosti dal velo della politica ufficiale. Quello sdegno, così, è stato facilmente pilotato e continuamente alimentato, anche da personaggi improvvisamente riciclatisi arringatori da comizio dopo aver trascorso una vita da comici. Sarebbe bastato analizzare, tuttavia, chi finanziava quei reportage, chi di converso finanziava i movimenti partitici. Ne sarebbe risultato uno scontro tra titani nel quale i personaggi nell'occhio del ciclone interpretavano semplicemente il ruolo di figuranti. Quasi tutti, oggi, dimenticano il movente economico che muove la politica e tutti i suoi caratteristi, e plasma l'ordine sociale.
Probabilmente è questo il limite dei Grillo e dei grillini vari. Quello di voler gattopardianamente cambiare tutto perchè nulla cambi. Di volersi inserire all'interno di un sistema che non funziona e che tutto fa marcire, perchè subordinato ai diktat dell'universo finanziario. Gli attacchi indifferenziati di questi personaggi, ai rom come pure ai politici, sono l'effetto distorto di una cultura priva di riferimenti e che facilmente cede agli eversismi destrorsi.
Che il sistema alimentasse a sua volta l'antisistema "apparente", per ottenerne ricavi e vantaggi in termini economico-politici, lo si sapeva grazie ad un grande studioso quale Antonio Gramsci. Il guaio è che, dopo quasi un secolo, nessuno sembra esserci arrivato, pur avendo la risposta ad un palmo.