E' intoccabile, invulnerabile, un santone in terra, è onnipresente su web, carta stampata e tv, cita Salamov e Saro-Wiwa con ciò stesso autoproclamandosi eroico scrittore civile, lo fa a chiare lettere quando risponde, in un'intervista rilasciata ad un quotidiano tedesco, di essere "la coscienza del paese". Lui è Roberto da Napoli, o da Caserta, o forse da Trento, o ancora da Tel Aviv, tante sono le origini (almeno a sua detta) dell'eroico cosmopolita di nazionalità italica (almeno pensiamo). Ha un sito web dinamico e multilingue, la sua agenzia editoriale è di quelle che non temono confronti, ha amici forti e famosi, è benvoluto dappertutto. I media ne danno l'immagine del romantico paladino della libertà d'informazione e della lotta alla criminalità organizzata, lui non ne rifugge, anzi ne cavalca l'onda fiero e tronfio, preda ormai di un delirio narcisistico e totalitario che sembra non conoscere fine.
E' dovunque Roberto Saviano. Ovunque ci si giri è sempre alla portata. Il facoltoso gruppo Repubblica-L'Espresso è casa sua, e spesso apre in prima con qualche intervento del noto paladino anti-camorra, tutti all'insegna dell'ovvietà più eclatante (l'ultimo dei quali: "Subito una legge anti-corruzione"). In tanti lo invitano, per discorsi pubblici, seminari, o semplicemente per consegnargli l'ennesima onoreficenza. Lui non rifiuta mai, ogniqualvolta si presenta l'occasione giusta per dare un'altra passata di lustro ad un'immagine già piena di sè. Come quando non rifiuta la cittadinanza onoraria del comune di Milano (...), come quando accetta di presentare, su Repubblica ovviamente, un saggio critico di Alessandro Orsini sulle "due sinistre" incarnate rispettivamente da Gramsci e Turati.
Si riscopre, il Nostro, addirittura storiografo e cultore degli studi politici, allorchè tesse uno sperticato elogio del "tollerante" riformismo turatiano (uno che, per intenderci, diede carta bianca al Duce per fare del paese ciò che ne volesse), biasimando al tempo stesso l'ideologia di quella sinistra gramsciana "per fortuna extraparlamentare" che "vive di dogmi, sopravvissuta di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani". Una divisione manichea perfettamente in linea con vita e opere del nostro personaggio, capostipite unico della legione del Bene contro tutti gli altri, i cattivi per antonomasia.
E' bravo, Roberto Saviano, a scegliersi le cause da portare avanti: solo alcune, purchè siano forti, popolari, ed abbiano una notevole cassa di risonanza. Si scopre adesso, persino musicologo, non appena raccoglie l'invito di Marino Sinibaldi a concludere la prima edizione della fiera del libro "Libri Come", con una conferenza dal titolo: "Come scrivo: raccontare il Sud attraverso la sua musica". Versatile il ragazzo, disponibile alla partecipazione, mai uno sgarbo, soprattutto mai un rifiuto, anche quando l'occasione andrebbe probabilmente al di là delle proprie capacità e competenze.
Ci sono inviti, tuttavia, che ancora aspettano riscontri, occasioni mancate le cui tracce sembrano perdersi nel racconto dei mezzi d'informazione. Ci riferiamo in particolare (siamo nel Novembre del 2010) al videoappello di replica di Vittorio Arrigoni da Gaza alla partecipazione dell'autore ad una kermesse sionista organizzata a Roma dalla evergreen Fiamma Nirenstein. Ad un anno circa dall'omicidio dell'attivista di stanza nella Striscia, quelle domande ancora attendono, e forse meritano, una risposta.
O a quando, negli stessi giorni, il "Centro studi Peppino Impastato" e i familiari del giovane militante di Democrazia Proletaria ucciso dalla mafia, in particolare il fratello Giovanni, diffidarono bonariamente l'autore per alcune dichiarazione fuorvianti contenute in un suo libro, le quali disconoscono la grande ed effettiva opera meritoria del centro nella battaglia per ottenere la condanna di Badalamenti (e Palazzolo), mandante dell'omicidio. Una vicenda alla quale replicò l'editrice Einaudi con minacce di querela, e della quale si occupò Paolo Persichetti di Liberazione, successivamente querelati dal nostro paladino della "libertà di domanda" per diffamazione a mezzo stampa. In modo del tutto analogo a quanto fatto, assai più di recente, con il sito Casertaoggi.it, reo di aver commentato un libro sui casalesi di un cronista locale, Gigi Di Fiore, ritenuto assai migliore di Gomorra. Un errore grave per il direttore della testata, Biagio Salvati, il "maestro" dell'eroe, che anni fa gli passava chicche e veline per i suoi reportage.
Ci provò ancor prima, con un saggio, il critico Alessandro dal Lago, che accusò Gomorra di essere un racconto romanzato, un ibrido tra la letteratura e la fiction, senza pretese specifiche di veridicità storica, conludendo per l'appartenenza dell'autore a quella platonica schiera degli "eroi di carta" (da qui il titolo del saggio) che popolano la penisola. E ponendogli una domanda che, a distanza di molti anni, resta ancora avvolta dalle fitte nebbie del dubbio: Gomorra è un'inchiesta o un romanzetto? E' fatto così il nostro paladino: ad ogni domanda complessa lui si ritrae in quell'espressione un pò torva e corrucciata, che ammiriamo anche in tv o sulle foto d'autore. Molto spesso non ti risponde. Altre volte, invece, tira fuori le carte bollate per stendere il verbale di denuncia.
Sembrano lontani quei tempi in cui un piccolo volumetto di provincia, Gomorra per l'appunto, era relegato su scaffali polverosi di piccole librerie locali. Fin quando qualcuno non se ne interessò, e da insignificante lavoro di stanca stesura venne riposto in prima fila nei grandi store del paese, scalando classifiche di vendita, infrangendo record ed entrando nella collana dei classici e dei best-sellers. Trasformando un'opera anonima e senza spunti in un boomerang a molteplici effetti, e rendendone l'autore un personaggio ossessivo, intoccabile e incontrollabile nella sua goffa smania onnisciente. Saviano, oggi, non è più un individuo, ma un personaggio macchiettistico nelle mani del potere, politico ed editoriale.
Un colpo di genio, di un editore dalla vista lunga. Quell'uomo si chiamava Silvio Berlusconi, che ha portato opera ed autore alla ribalta. La firma in calce a questa nuova religione è però, manco a dirlo, di Carlo De Benedetti.
E' dovunque Roberto Saviano. Ovunque ci si giri è sempre alla portata. Il facoltoso gruppo Repubblica-L'Espresso è casa sua, e spesso apre in prima con qualche intervento del noto paladino anti-camorra, tutti all'insegna dell'ovvietà più eclatante (l'ultimo dei quali: "Subito una legge anti-corruzione"). In tanti lo invitano, per discorsi pubblici, seminari, o semplicemente per consegnargli l'ennesima onoreficenza. Lui non rifiuta mai, ogniqualvolta si presenta l'occasione giusta per dare un'altra passata di lustro ad un'immagine già piena di sè. Come quando non rifiuta la cittadinanza onoraria del comune di Milano (...), come quando accetta di presentare, su Repubblica ovviamente, un saggio critico di Alessandro Orsini sulle "due sinistre" incarnate rispettivamente da Gramsci e Turati.
Si riscopre, il Nostro, addirittura storiografo e cultore degli studi politici, allorchè tesse uno sperticato elogio del "tollerante" riformismo turatiano (uno che, per intenderci, diede carta bianca al Duce per fare del paese ciò che ne volesse), biasimando al tempo stesso l'ideologia di quella sinistra gramsciana "per fortuna extraparlamentare" che "vive di dogmi, sopravvissuta di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani". Una divisione manichea perfettamente in linea con vita e opere del nostro personaggio, capostipite unico della legione del Bene contro tutti gli altri, i cattivi per antonomasia.
E' bravo, Roberto Saviano, a scegliersi le cause da portare avanti: solo alcune, purchè siano forti, popolari, ed abbiano una notevole cassa di risonanza. Si scopre adesso, persino musicologo, non appena raccoglie l'invito di Marino Sinibaldi a concludere la prima edizione della fiera del libro "Libri Come", con una conferenza dal titolo: "Come scrivo: raccontare il Sud attraverso la sua musica". Versatile il ragazzo, disponibile alla partecipazione, mai uno sgarbo, soprattutto mai un rifiuto, anche quando l'occasione andrebbe probabilmente al di là delle proprie capacità e competenze.
Ci sono inviti, tuttavia, che ancora aspettano riscontri, occasioni mancate le cui tracce sembrano perdersi nel racconto dei mezzi d'informazione. Ci riferiamo in particolare (siamo nel Novembre del 2010) al videoappello di replica di Vittorio Arrigoni da Gaza alla partecipazione dell'autore ad una kermesse sionista organizzata a Roma dalla evergreen Fiamma Nirenstein. Ad un anno circa dall'omicidio dell'attivista di stanza nella Striscia, quelle domande ancora attendono, e forse meritano, una risposta.
O a quando, negli stessi giorni, il "Centro studi Peppino Impastato" e i familiari del giovane militante di Democrazia Proletaria ucciso dalla mafia, in particolare il fratello Giovanni, diffidarono bonariamente l'autore per alcune dichiarazione fuorvianti contenute in un suo libro, le quali disconoscono la grande ed effettiva opera meritoria del centro nella battaglia per ottenere la condanna di Badalamenti (e Palazzolo), mandante dell'omicidio. Una vicenda alla quale replicò l'editrice Einaudi con minacce di querela, e della quale si occupò Paolo Persichetti di Liberazione, successivamente querelati dal nostro paladino della "libertà di domanda" per diffamazione a mezzo stampa. In modo del tutto analogo a quanto fatto, assai più di recente, con il sito Casertaoggi.it, reo di aver commentato un libro sui casalesi di un cronista locale, Gigi Di Fiore, ritenuto assai migliore di Gomorra. Un errore grave per il direttore della testata, Biagio Salvati, il "maestro" dell'eroe, che anni fa gli passava chicche e veline per i suoi reportage.
Ci provò ancor prima, con un saggio, il critico Alessandro dal Lago, che accusò Gomorra di essere un racconto romanzato, un ibrido tra la letteratura e la fiction, senza pretese specifiche di veridicità storica, conludendo per l'appartenenza dell'autore a quella platonica schiera degli "eroi di carta" (da qui il titolo del saggio) che popolano la penisola. E ponendogli una domanda che, a distanza di molti anni, resta ancora avvolta dalle fitte nebbie del dubbio: Gomorra è un'inchiesta o un romanzetto? E' fatto così il nostro paladino: ad ogni domanda complessa lui si ritrae in quell'espressione un pò torva e corrucciata, che ammiriamo anche in tv o sulle foto d'autore. Molto spesso non ti risponde. Altre volte, invece, tira fuori le carte bollate per stendere il verbale di denuncia.
Sembrano lontani quei tempi in cui un piccolo volumetto di provincia, Gomorra per l'appunto, era relegato su scaffali polverosi di piccole librerie locali. Fin quando qualcuno non se ne interessò, e da insignificante lavoro di stanca stesura venne riposto in prima fila nei grandi store del paese, scalando classifiche di vendita, infrangendo record ed entrando nella collana dei classici e dei best-sellers. Trasformando un'opera anonima e senza spunti in un boomerang a molteplici effetti, e rendendone l'autore un personaggio ossessivo, intoccabile e incontrollabile nella sua goffa smania onnisciente. Saviano, oggi, non è più un individuo, ma un personaggio macchiettistico nelle mani del potere, politico ed editoriale.
Un colpo di genio, di un editore dalla vista lunga. Quell'uomo si chiamava Silvio Berlusconi, che ha portato opera ed autore alla ribalta. La firma in calce a questa nuova religione è però, manco a dirlo, di Carlo De Benedetti.