Palermo. La città palermitana, Capitale della Cultura 2018, rende omaggio ad uno dei più grandi testimoni del fotogiornalismo, che ha contribuito a portare la crudezza della guerra nelle case del mondo intero: Robert Capa. Il Real Albergo dei Poveri ospiterà fino al prossimo 9 settembre la mostra dedicata al fotogiornalismo del XX secolo, "Robert Capa Retrospective". L'evento è promosso dall'Assessorato Regionale ai beni culturali e all'identità siciliana ed organizzato dall'associazione Civita in collaborazione con Magnum Photos e la Casa dei Tre Oci. Non è un caso che sia stato scelto proprio il 2018 per dare il via ad un evento di forte impatto storico e culturale, in quanto la Sicilia intende celebrare non solo il suo fondatore ma anche l'intero progetto della Magnum Photos, che quest'anno compie i suoi 70 anni. La Magnum Photos, realizzata nel 1947 in collaborazione con altri grandi nomi della fotografia mondiale, quali Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William Vandivert, ha goduto e tuttora gode di una fama tale da renderla una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo intero. Nasce dalle ceneri di una guerra che ha devastato non solo un intero mondo ma i cuori e le anime di chi ha visto perdere le persone più care, il proprio lavoro, la propria vita che sfumava allo scoppio di ogni nuova bomba. Magnum Photos rappresenta un vero e proprio momento di rinascita attuato da parte di chi, nelle vesti di fotografo e fotoreporter, si arma di macchina fotografica per catturare ogni istante che la vita offre. È la risposta al regime fascista, ad una guerra che in termini di guadagno ha lasciato solo crescere vertiginosamente il numero di vittime, costrette ad una morte ingiusta. Contro un paese sconfitto da chi per anni lo ha guidato e capeggiato, la fotografia diventa la sola e unica fonte di recupero di un passato che ha chiuso con l'Italia e i suoi abitanti. È l'esordio della fotografia, dell'istantanea che ha dato a tutti la possibilità di uscire dai propri confini, di andare oltre, ampliando lo sguardo verso un mondo di cui era all'oscuro, di una realtà che molti avrebbero preferito celare. La crudezza, la dura verità della guerra si impongono dinanzi agli occhi di tutti con grande impeto grazie alla forza che solo uno scatto riesce a cristallizzare. È lo scorrere inesorabile del tempo che si blocca drasticamente al cospetto dell'occhio meccanico. Basta un attimo e la guerra diventa accessibile al mondo, si trasforma in un'immagine da stringere tra le mani, accorciando le distanze tra noi e un passato ormai distrutto. La straordinaria potenza espressiva della fotografia di Robert Capa ha fatto un immenso giro per poi ritornare in Sicilia, lì dove nel luglio del 1943 era sbarcato insieme ad una pattuglia che giungeva in soccorso del popolo italiano, portando rifornimenti e fungendo al tempo stesso da copertura per l'avanzata della Settima Armata del generale George D. Patton. Ad accoglierli vi era una gran folla di persone che esultava per la liberazione americana dall'occupazione tedesca. Il flagello della guerra era ormai giunto al termine e il grande Robert Capa era lì, pronto con la sua macchina fotografica ad immortalare finalmente momenti di gioia, di vita, di occhi pieni di speranza per un futuro migliore. Il progetto artistico, curato da Denis Curti ricalca la mostra organizzata originariamente da Richard Whelan. Sono presentati al pubblico ben 107 scatti in bianco e nero, suddivisi in 11 sezioni, comprendenti: Copenaghen 1932, Francia 1936-1939, Spagna1936-1939, Cina 1938, Gran Bretagna e Nord Africa 1941 - 1943, Italia 1943 - 1944, Francia 1944, Germania 1945, Europa orientale 1947, Israele 1948-1950, Indocina 1954. Ognuna di esse riguarda una tappa rilegata ad una specifica area geografica e ad un determinato evento storico che con abile maestria il grande fotografo è riuscito a cogliere nella prospettiva migliore, da quella giusta angolazione che ci permette di abbattere le barriere, accorciando la distanza che ci separa da momenti troppo lontani. Robert Capa nei suoi anni di vita non ha fatto altro che aiutarci a scoprire il mondo, portandoci nei luoghi più remoti ma anche dietro l'angolo. La sua è un'attività che implica amore, passione e dedizione ed è la stessa che lo ha accompagnato fino ai suoi ultimi giorni di vita e che con grande enfasi viene mostrata al pubblico attraverso il prezioso documentario "Robert Capa: In Love and War", realizzato da Anne Makepeace nel 2003. La regista ha dedicato i suoi studi alle opere e alla vita del grande fotoreporter, mettendo in luce un esaustivo ed avvincente ritratto del nostro, impreziosito dalle trame che gli amici e i parenti di Capa hanno tessuto al fine di far emergere anche il suo lato più intimo e riservato. Un archivio multimediale realizzato grazie alle interviste del fratello Cornell Capa, di Isabella Rossellini, Henri Cartier-Bresson, Elliot Erwin, Marc Riboud, Richard Whelan e John Morris. Ed è proprio alle sue amicizie, grazie alle quali è riuscito a crescere, confrontandosi e migliorandosi, che è dedicata l'ultima parte della rassegna, la sezione "Ritratti" di amici e artisti. Tra questi spiccano grandi nomi che tutt'ora risuonano in ogni dove: da Gary Cooper a Ernest Hemingway, dalla splendida Ingrid Bergman alle illustri firme di Pablo Picasso e Henri Matisse. A questi si aggiungono i ricordi condivisi con il celebre Truman Capote, John Huston, William Faulkner, lo stesso Robert Capa immortalato insieme allo scrittore statunitense John Steinbeck e infine un ritratto del fotografo scattato nel 1951 da Ruth Orkin, regista e fotoreporter proprio come lui. La sua più grande fortuna rappresenta quella che per molti è stata vissuta come il più grande dramma della storia. L'essere testimone oculare dei tragici conflitti del XX secolo ha significato per lui affrontare due vite in parallelo. Affrontare e non godere, perché la sua è stata una scelta, profondamente meditata, che lo ha spinto a provare sulla propria pelle il sapore della polvere da sparo, riportando nel suo privato ciò che ha preferito ergere a stile di vita. Sebbene le guerre abbiano profondamente devastato il suo vissuto, sono state per lui anche fonte di rinascita. Vivere per comunicare l'incomunicabile, fotografare per eternizzare il tempo, cristallizzandolo nella sua vera essenza.
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