
Atene. Alla fine, dopo lunghi negoziati, l'accordo tra la Grecia ed i creditori è stato raggiunto. Nella mattinata di lunedì 13 Luglio, fonti governative elleniche hanno confermato il raggiungimento di un'intesa, condensata in un documento preliminare di 7 pagine non particolarmente dettagliato, che contiene tuttavia i crismi generali dellle volontà delle parti. Il testo prevede condizioni molto dure per la Grecia: anzitutto, il governo Tsipras dovrà dare subito la stura ad una serie di impegni assunti con le istituzioni comunitarie, a cominciare dalla riforma dell'Iva e dall'aumento delle imposte, passando per la revisione del sistema pensionistico e l'adesione cieca al Fiscal Compact. In secundis, la bozza d'intesa prevede riforme a medio-lungo termine che interesseranno diversi settori dell'economia pubblica: trasporti via mare ed imprese commerciali da liberalizzare, privatizzazione dell'Admie (l'azienda che gestisce la somministrazione di energia elettrica, ndr) e revisione integrale dell'apparato lavoristico, con l'adozioni di misure a dir poco stringenti per i lavoratori. Il protocollo prevede altresì le modalità con le quali tali innovazioni andranno portate avanti, con l'assegnazione di un ruolo preminente alle istituzioni europee, chiamate a monitorare e controllare ogni singolo passaggio delle riforme, sulle quali avranno sempre l'ultima parola. L'elenco rappresenta solo una bozza minima delle condizioni necessarie per condurre in porto l'accordo: solo ad attuazione avvenuta la troika darà mandato per negoziare i contenuti veri e propri del memorandum. Per nulla dettagli, anzi. Di fronte a questa dinamica, nel paese ellenico sono scoppiate numerose polemiche. Le targhe sindacali hanno già proclamato uno sciopero per protestare contro le condizioni infami imposte al paese. La destra ha già manifestato l'intenzione di non aderire all'accordo, mentre i neonazisti di Alba Dorata iniziano a soffiare sul fuoco delle tensioni. Il patto è stato stigmatizzato su buona parte della stampa internazionale. Dopo l'editoriale di fuoco di Paul Krugman, il New York Times ha rincarato la dose, affermando che l'ultimatum imposto alla Grecia ha tutte le sembianze di una resa incondizionata di un paese che ha ormai perso ogni briciolo di sovranità. Il tutto per preservare un folle "progetto europeo" che nulla ha a che fare con la solidarietà tra i popoli. Al centro di un fuoco incrociato si è chiaramente trovato il primo ministro Alexis Tsipras, accusato in primis di aver cestinato l'esito pressoché plebiscitario del referendum popolare contro le ennesime misure d'austerity imposte dalla Troika. Nel corso di un'intervista rilasciata al New Statesmen, l'ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis (dimessosi per facilitare i negoziati, ndr) non ha lesinato parole al veleno: "Il no al referendum ci ha dato una spinta incredibile - ha raccontato - che poteva condurre poco alla volta al Grexit. Ma presto si è capito che il governo non voleva una simile reazione. Anzi, ha portato a concessioni dal lato opposto. L'Ue non ha alcuno scrupolo democratico: tutto ciò, dunque, avrebbe significato piegarsi alla loro volontà, smettere di negoziare".