
Francoforte. Circa 7300 espositori, provenienti da oltre 100 cento paesi del mondo, animeranno l'edizione numero 67 della Frankfurter Buchmesse, la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, il più importante appuntamento a livello mondiale per la promozione culturale e lo scambio editoriale. In principio concepita come un grande e innovativo mercato dei caratteri mobili, grazie alla vicinanza con la Mainz di Giovanni Gutenberg, la Fiera è stata ripristinata poi nel 1949, all'indomani del collasso e delle schegge ereditate dal secondo conflitto mondiale. L'Italia sarà presente alle kermesse tedesca con circa 200 editori, tutti raggruppati presso lo "Spazio Italia", dedicato appunto alla letteratura nostrana. L'ospite d'onore dell'edizione 2015, sotto il titolo "Isole dell'immaginazione", sarà l'Indonesia, paese dalla profonda, abissale diversità culturale, quinto al mondo per popolazione, primo in assoluto per numero di musulmani. Soprattutto, paese la cui letteratura (e forse non solo quella) resta ancora sconosciuta ai più in casa nostra, fatta salva qualche rara eccezione (Lubis, Situmorang), tradotta in Italia grazie al lavoro di pochi specialisti cresciuti all'ombra del maestro Alessandro Bausani, primo grande conoscitore della galassia letteraria del sud-est asiatico. Dicevamo dell'Italia, appunto, e della sua "mission" in terra teutonica, che negli ultimi anni ha regalato tante ombre e pochi scampoli di luce, quasi uno specchio della dinamica involutiva che coinvolge la grande editoria nazionale. L'idea della letteratura concepita come marketing, che resta idea di sviluppo della Buchmesse almeno quanto il principio di fondo della letteratura come cultura e dunque come espressione-conoscenza della realtà, ha avviluppato l'editoria nazionale trascinandola in un vortice dove persino le scelte concepite in questo senso si sono rivelate assai poco lungimiranti. In una digressione pubblicata da Il Libraio alla vigilia della scorsa Fiera francofortese, Luigi Spagnol ha gettato luce sui meccanismi di funzionamento della rassegna: "A venderli (i libri, ndr) sono o gli agenti letterari o le case editrici, qualora all'atto di acquisire i diritti di pubblicazione nella patria dell'autore si siano assicurate anche quelli di traduzione. Nel caso di grosse agenzie o delle case editrici, ci sono persone addette specificamente alla vendita dei diritti esteri. Dall'altra parte del tavolo delle trattative (l'equivalente dei grossisti di Le Guilvinec), ci sono gli editori di tutti gli altri Paesi, i loro editor, i loro scout e i loro responsabili delle acquisizioni". Nel suo lavoro "La Musa", Jonathan Galassi, poeta ma soprattutto presidente di Farrar Straus & Giroux, rende assai più intelligibile questa ratio: "(...) nella moderna Fiera di Francoforte non si vendevano libri, bensì autori, a un tanto al chilo. Gli editori si accaparravano il diritto di vendere le opere dei loro scrittori in altri paesi e altre lingue, spesso intascando una considerevole porzione dei guadagni (tra i più scandalosi c'erano i paternalistici francesi, che si beccavano il cinquanta per cento del ricavato). Finché gli agenti non si erano accorti delle potenzialità degli accordi internazionali, la situazione era rimasta selvaggia e confusa, anche se le parti in gioco osservavano scrupolosamente i riti feudali di lealtà". In un capitolo del suo libro, dunque, che sembra tratto da una delle tante pagine di Tom Wolfe, Galassi evoca corpo e fascino della Buchmesse, che quest'anno sarà aperta dalla prolusione di Salman Rushdie, l'autore dei "Versetti satanici" la cui presenza ha già mandato fuori dai gangheri l'Iran, pronto a boicottare la rassegna.