
"Truffa culturale": questa è l'espressione utilizzata dal Ministro dell'Istruzione Stefania Giannini lo scorso 16 Settembre ai microfoni di "Radio 24" e che ora riecheggia furiosamente nei corridoi di tutte le scuole italiane. A creare scompiglio in un momenti così delicato per la Scuola italiana - ricordiamo che siamo nelle prime fasi di attuazione della Riforma "La Buona Scuola" - ci si mette una sorta di grandissimo guazzabuglio mediatico denominato "Teoria del gender". Contro questo temuto mostro si sono schierati in molti: da Papa Francesco in persona - che l'ha bollata come "un passo indietro per l'umanità" - al Sindaco di Venezia Brugnaro, passando per l'Associazione ultracattolica di destra "Le Manif pour tous" e le immancabili Sentinelle in piedi. La psicosi, diffusasi tra i genitori e amplificatasi a suon di messaggi su whatsapp e social network, ha finito per generare cattiva informazione. Proviamo, pertanto, a fare chiarezza, affrontando l'argomento con un esperto del settore, il Dottor Luigi Ferraro, psicologo che si occupa di problematiche adolescenziali. "Dottor Ferraro, quando si parla di teoria del gender, a cosa ci si riferisce nello specifico?". "Parlare di teoria o di ideologia in riferimento al gender è già il primo errore - spiega Ferraro. Non esiste ancora una teoria che riguardi le identità di genere, ma soltanto un corpus di studi, i cosiddetti "gender studies". Tali studi si occupano di far luce su alcuni aspetti dell'identità sessuale finora ignorati, perché inghiottiti dalla dicotomia totalizzante "uomo-donna": rientrano in questa casistica i transessuali, gli intersessuali e via dicendo". "La nostra società, quindi, tende a categorizzare il comportamento in due distinti orientamenti sessuali lasciando fuori - discriminando - chi non si sente di appartenere a nessuno di questi". "Quando si parla di identità di genere - commenta il Dottor Ferraro - occorre fare un passo indietro e una triplice distinzione: quella tra il sesso, quello biologico, il genere, in cui ci si identifica, e il ruolo, la costruzione sociale inculcata dalla famiglia e dalla società su come si esprime l'identità di appartenenza. Gli studi sul gender approfondiscono questo sottobosco di generi sessuali che svicolano dalla distinzione classica". "Potrebbe farci un esempio più concreto?". "Un esempio di gender variant è la nota cantante Conchita Wurst: sesso biologico maschile che ama sfoggiare look femminili, conservando però un tratto tipicamente mascolino - la barba - che fonde così entrambi gli aspetti. Le sue performance sono sicuramente enfatizzate per dar loro una caratura artistica, ma può rendere il concetto". "Così dicendo diventa meno chiaro il nesso tra questa teoria e il Ddl "La Buona Scuola"". "In effetti gli studi sul gender in sé non hanno grande attinenza con quanto proposto dalla Riforma del sistema scolastico . Chi ha diffuso la notizia ha mescolato impropriamente quanto finora emerso da questi studi alle nozioni di educazione all'affettività che l'Oms ha invitato ad inserire nelle programmazioni scolastiche di tutto il mondo". "Il passaggio del Ddl che ha creato confusione, infatti, parla dell'ingresso di Associazioni e movimenti all'interno delle scuole che promuovono l'inclusione sociale e la parità di genere. Per qualcuno è sembrato un tentativo di indottrinamento". "Non ci saranno lezioni sulla sessualità in tenera età come qualcuno ha ipotizzato - sottolinea Ferraro - ma un percorso di educazione alla scoperta del proprio corpo e delle sensazioni ad esso correlate, che è ben altra cosa. L'educazione alla sessualità andrebbe garantita, a mio avviso, ai cicli scolastici superiori". "Perché si è sentita l'esigenza, secondo lei, di intraprendere un percorso educativo del genere?". "La società veicola spesso l'idea del corpo come di uno strumento da esibire in maniera sfacciatamente erotica, dimenticando l'aspetto di affettività che dovrebbe accompagnare l'armonico sviluppo di una persona. Basti pensare al fenomeno delle baby-squillo, che da giovanissime svendono il loro corpo per ottenere cellulari e oggetti all'ultimo grido. Al progetto dell'Oms si collega intimamente anche il concetto di bullismo: chi è considerato diverso diventa oggetto di derisione e di violenza fisica e psicologica. Educare fin dall'infanzia alla conoscenza e alla consapevolezza di tutto ciò, contribuirà a formare degli adulti più equilibrati e tolleranti". "Esistono delle realtà dove questo tipo di percorso educativo è già avviato?". "Nei paesi scandinavi esistono cataloghi di giochi per bambini senza etichette di genere, in modo che essi possano liberamente scegliere il giocattolo che desiderano. A Napoli, addirittura, la Federico II e il Centro di Ateneo "Sinapsi" stanno portando avanti un progetto educativo nelle Scuole sulla comprensione ed accettazione delle identità di genere. In Spagna, dove le coppie omossessuali sono una realtà consolidata, il dibattito dell'opinione pubblica è virato naturalmente verso l'educazione dei più giovani, ma lo ha fatto con un tenore culturale più elevato di quello italiano". "Come mai si è creato questo allarmismo ingiustificato?". "A mio avviso le cause sono principalmente tre - dice il Dottor Ferraro. La prima, di carattere atavico, riguarda il fatto che il sesso è una dimensione ancora così intima che discuterne, anche in maniera oggettiva, è considerato da sempre un tabù. In secondo luogo, la Chiesa Cattolica e qualche partito politico in cerca di facili consensi, ha approfittato dell'occasione per creare una campagna di marketing a favore del tradizionale concetto di famiglia, concetto che non uscirebbe peraltro sconvolto da un "allargamento" di vedute, ma soltanto rafforzato, visto il suo crescente declino. In terzo luogo la cattiva informazione ha completato l'opera: spesso sui social network i fake e la buona e meno buona comunicazione si mescolano, dando luogo a "bufale". Nella foga di avere a disposizione quante più informazioni è possibile, non si bada alle "fonti" e si contribuisce a creare circoli viziosi". "Vogliamo dire qualcosa ai genitori preoccupati che ai loro figli venga insegnato a scuola ad essere omosessuali?". "Assolutamente si. Intanto l'omosessualità non è qualcosa che è possibile insegnare. Inoltre, già da diversi anni, non è considerata come facente parte di una categoria diagnostica, pertanto non è possibile etichettarla come una malattia. Diverso discorso potrebbe essere fatto per l'omofobia, che paradossalmente significa "paura del simile": sebbene anch'essa non rientri in casi diagnostici, può portare con sé risvolti violenti. Ultimamente si tende ad utilizzare il termine omo-negatività, che riguarda aspetti più interni e sottolinea la difficoltà di entrare in sintonia con un altro-da-sé, il quale diviene oggetto di stigma e pregiudizio. Questi ultimi non sono che l'anticamera della violenza. E questo, miei cari genitori, è un'attitudine che si può trasmettere ed insegnare".