Referendum e di leggi ad iniziativa popolare, ovvero i due modi con cui i cittadini possono partecipare in maniera diretta all'attività legislativa che, tramite il proprio voto, demandano al Parlamento e di come questa verrà modificata secondo il ddl Boschi. Ma prima di ciò, urge una precisazione sulle "facoltà" del popolo. Molto spesso, infatti, si ritiene grossolanamente che rientri o debba rientrare tra i diritti sanciti dalla Costituzione lo scegliere direttamente il Premier o il Presidente della Repubblica: nulla di più lontano dalla realtà in Italia. Questa falsa credenza ha creato la convinzione che l'attuale governo sia incostituzionale e che pertanto lo sia anche l'intero impianto della riforma che voteremo il prossimo 4 Dicembre. In realtà il Primo Ministro è nominato dal Presidente della Repubblica e in secondo luogo ottiene la fiducia dal Parlamento; il Presidente invece è nominato dal Parlamento in plenaria. L'attuale legge elettorale - il cosiddetto "Porcellum" (l.70/2005) - ha maggiormente gettato confusione sulla questione poiché è stato giudicato "incostituzionale" con sentenza n.1/2014 ed abrogato in alcune delle sue parti, lasciando però inalterato il risultato delle ultime elezioni svoltesi nel 2013 per una questione di continuità.
Chiarito che l'Italia è una Repubblica parlamentare, pertanto una democrazia indiretta che si esplicita nel mandato che affidiamo ai Deputati e Senatori che eleggiamo, la nostra Costituzione, tuttavia, nell'articolo 71, prevede alcuni istituti di democrazia diretta che possiamo riassumere in referendum e leggi di iniziativa popolare. Di referendum ne esistono due tipologie: l'abrogativo, in cui ci si esprime sul mantenere in vigore o meno una determinata legge e per cui occorre un quorum del 50% + 1 dei votanti, e il confermativo, come quello del 4 Dicembre prossimo, dove gli elettori votano l'accettazione o meno di una o più modifiche costituzionali. In questo secondo caso non è necessario raggiungere un quorum di elettori. Esiste inoltre una terza tipologia di referendum, utilizzato soltanto due volte nella storia d'Italia, per il quale è stata apportata una modifica al testo costituzionale: il referendum di indirizzo. Le occasioni in cui è stato utilizzato questo strumento sono il 1946, per scegliere tra Repubblica e Democrazia e il 1989, per sancire il passaggio da Cee a Ue. Un quesito referendario può essere proposto raccogliendo 500mila firme di cittadini votanti: non è possibile sottoporre a referendum argomenti riguardanti la ratifica di trattati internazionali, l'adesione ad organizzazioni sovra o inter -nazionali: è la Costituzione a decidere modalità e argomenti su cui il popolo si può esprimere con un si o un no.
Dal 1946 ad oggi si sono avuti in Italia 71 referendum di cui 67 abrogativi. A partire da argomenti come il divorzio per giungere al più recente sulle trivelle, hanno sempre destato un forte dibattito pubblico e un trend negativo di partecipazione che è aumentato esponenzialmente con gli anni: dal 1997 in poi, tranne per il quesito del 12 e 13 Giugno 2011 sull'acqua pubblica e il legittimo impedimento per i Parlamentari, non è mai stato raggiunto il quorum previsto. Per quanto riguarda le leggi ad iniziativa popolare, invece, esse sono dei veri e propri disegni di legge redatti e suddivisi in articoli che possono essere proposti alle Camere dietro la richiesta di almeno 50mila cittadini aventi diritto al voto. Il Parlamento può rifiutare di discutere tali proposte se lo ritiene opportuno, senza fornire motivazioni. La Storia italiana ci racconta che ad oggi, su 260 leggi ad iniziativa popolare presentate, soltanto il 43% sia approdato nelle aule parlamentari e soltanto 4 (1,15% del totale) siano divenute leggi dello Stato italiano a tutti gli effetti: la disciplina sull'adozione e affidamento dei minori del 1983, la legge di indizione del referendum per conferire mandato costituente al Parlamento europeo del 1989, le norme di protezione della fauna selvatica e disciplina della caccia del 1992 e la legge quadro sul riordino dei cicli d'istruzione del 2000.
La riforma Boschi alza di molto la soglia di firme necessarie per presentare un disegno di legge ad iniziativa popolare - si passa da 50 mila a 150mila - tuttavia obbliga il Parlamento a discutere tutte le leggi regolarmente presentate, in tempi e modalità che verranno stabiliti da Regolamenti parlamentari. Cambia anche il meccanismo di determinazione del quorum per i referendum: resta intatta la soglia delle 500mila firme da raccogliere ma, nel caso i promotori ne riuscissero a raccogliere 800mila, il quorum verrebbe determinato non sugli aventi diritto ma sul numero dei votanti all'ultima tornata elettorale. Un modo per stimolare la popolazione a proporre iniziative di legge e un iter più sicuro per la loro discussione ed approvazione, secondo i sostenitori del Si. Il Comitato del No invece, sottolinea che la triplicazione del numero di firme da raccogliere per la legge ad iniziativa popolare è una vera e propria limitazione dell'esercizio della sovranità del popolo; una limitazione incomprensibile, visto lo scarso utilizzo dello strumento (1,15% di tali proposte sono state discusse dal '79 ad oggi). Inoltre la facoltà di stesura di un regolamento ad hoc da parte di Camera e Senato, eletti con l'Italicum, prevedrebbe uno strapotere del partito vincente che potrebbe optare per un regolamento che non contingenta i tempi di discussione delle proposte di legge. Le 500mila firme previste per il referendum inoltre, vengono di fatto aumentate ad 800mila se si vuole ottenere un quorum più basso: nel caso non si raggiungano, esso rimane fisso alla metà + 1 degli aventi diritto, obiettivo che, abbiamo visto, nei referendum attuali è stato impossibile raggiungere.