
Londra. Alla fine l'ipotesi hung parliament, pur profilata nelle ultime settimana ma senza attribuirle il meritato credito, è diventata realtà: le elezioni politiche in Gran Bretagna certificano la débâcle di Theresa May, la quale, pur vincendo la corsa con il leader del Labour Party Jeremy Corbyn, lo fa con uno scarto ridottissimo, tale da precluderle la maggioranza assoluta a Westminster. Un vero e proprio "shock", come lo ha definito il Guardian, un autentico "disastro" a detta del Financial Times: nonostante il vantaggio numerico sugli avversari, i Tories della premier uscente raggiungerebbero appena i 318 seggi, ben 12 in meno di quelli ottenuti alle politiche del 2015, ben al di sotto della soglia necessaria per garantire una granitica e fluida governabilità. Una colata a picco, dunque, specie se raffrontata con le previsioni della vigilia e con la decisione della stessa May di andare ad elezioni anticipate nella convinzione di poter sbancare la tornata. Chi avanza è proprio il Labour di Corbyn, che supera i 260 seggi guadagnandone così oltre 30 rispetto alle ultime consultazioni, mentre crollano il National Scotish Party (-19 seggi) e soprattutto l'Ukip orfano di Nigel Farage - uno dei più accaniti promotori della Brexit - che ottiene appena l'1,8% delle preferenze degli elettori e viene così estromesso dalla Camera.
Il risultato elettorale consegna dunque una Gran Bretagna assai più fragile e precaria di quella andata alle urne. La notizia non è delle migliori, stante il delicato momento nel quale versa il paese, che deve gestire la procedura di divorzio dall'Unione Europea in scadenza nel 2019. L'unica strada percorribile è quella di un'alleanza, probabilmente con i Liberaldemocratici - ai quali dovrebbero andare 12 seggi - che tuttavia hanno già annunciato di non voler formare alcuna coalizione, memori dell'esperienza post 2010 che procurò loro una netta sconfitta elettorale. Ecco dunque che i Conservatori hanno già avviato i contatti con l'Ulster Unionist Party, i protestanti nordirlandesi, anch'esso conservatore e che potrebbe assicurare una decina di seggi: a solo titolo di appoggio, tuttavia, e non all'interno di una coalizione. Remota allo stato anche l'ipotesi di dimissioni della May, la quale aveva paventato una simile possibilità nel caso in cui avesse perso almeno sei seggi.