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Roma. E' scontro diplomatico senza precedenti tra Italia e Malta sui migranti, dopo che il ministro dell'Interno Matteo Salvini ha deciso di chiudere i porti italiani all'attracco della nave Aquarius della ong "Sos Méditerranée", nave che ha soccorso in mare 629 migranti. "La nave Aquarius con a bordo 629 migranti - ha dichiarato Salvini - deve approdare a Malta perché è quello il "porto sicuro" più vicino al luogo dove si trova l'imbarcazione". Così il governo italiano ha richiesto alle autorità maltesi di farsi carico del caso della nave Aquarius, che vaga nel Mediterraneo in attesa di sapere dove portare il proprio carico di disperati". E su Facebook ha scritto: "Nel Mediterraneo ci sono navi con bandiera di Olanda, Spagna, Gibilterra e Gran Bretagna, ci sono Ong tedesche e spagnole, c'è Malta che non accoglie nessuno, c'è la Francia che respinge alla frontiera, c'è la Spagna che difende i suoi confini con le armi, insomma tutta l'Europa che si fa gli affari suoi. Da oggi anche l'Italia comincia a dire NO al traffico di esseri umani, NO al business dell'immigrazione clandestina. Il mio obiettivo è garantire una vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in Italia".

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Washington (Usa). Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d'America. Il tycoon americano ha coronato a 70 anni il suo ultimo, più ambizioso e improbabile sogno. "Tutti gli americani godranno dell'opportunità di sprigionare appieno il loro potenziale - ha assicurato Trump - nessuno resterà indietro, nessuno sarà dimenticato". Trump si è aggiudicato i 276 grandi elettori necessari a battere la candidata democratica nella corsa per la presidenza, al termine di una delle campagne elettorali più divisive che gli States abbiano mai vissuto. Nell'Election Day, gli americani hanno anche votato per rinnovare Camera e Senato, che sono rimasti saldamente in mano ai repubblicani, annientando le speranze dei democratici, che speravano di tornare a controllare il Congresso l'anno prossimo. Gli avversari di Trump si devono accontentare di una manciata di seggi guadagnati alla Camera, comunque appunto non sufficienti ad arrivare alla maggioranza. Con un Congresso completamente dalla sua parte, ora Trump potrà portare avanti quello che ha promesso in campagna elettorale, ovvero rivedere e ribaltare ampia parte delle politiche portate avanti durante il doppio mandato del suo predecessore, Barack Obama, a partire dalla riforma della sanità e dagli accordi sul nucleare iraniano raggiunti l'anno scorso. "Ricostruiremo le nostre strade, i nostri ponti, le nostre scuole. Ricostruiremo l'America e investiremo milioni per farlo", ha dichiarato Trump subito dopo i risultati. Quanto al fronte internazionale, Donald Trump ha assicurato: "Con il mondo cercheremo alleanze, non conflitti, e gli Usa andranno d'accordo con tutti coloro che vorranno andare d'accordo con noi". "Voglio dire alla comunità internazionale che metteremo sempre gli interessi dell'America dinanzi e ci comporteremo in maniera giusta con tutti i popoli e le altre nazioni". "Lavoreremo con tutte le nazioni che saranno disponibili a lavorare con noi: l'America non si accontenterà più di nulla che non sia il meglio. Dobbiamo rilanciare il destino del nostro Paese, il suo grande sogno, con coraggio e audacia". Intanto i mercati finanziari non hanno preso bene la notizia, le maggiori Borze internazionali sono in forte piacchiata.

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Bangkok. Una nuova Carta Costituzionale è stata adottata in Thailandia in seguito al referendum indetto dalla giunta militare al potere nel paese dopo il colpo di Stato del 2014. Alle urne erano chiamati circa 50 milioni di aventi diritto, ma a votare è stato poco più del 55%: il 60% circa dei votanti ha accordato la sua preferenza al nuovo testo voluto dal regime guidato dal generale Prayuth Chan-ocha. Controversa e movimentata è anche la storia costituzionale del paese, oltre a quella politica: uscita dalle sabbie mobili dell'assolutismo monarchico solo nel 1932, la Thailandia ha poi affrontanto una corposa serie di golpe e rovesci militari, che hanno portato all'adozione di ben 20 diversi testi fondamentali. Proprio sull'ultimo, il ventunesimo, si sono appuntate le critiche delle opposizioni, tra tutti il Pheu Thai Party, e degli osservatori internazionali. Il Washington Post ha definito il referendum costituzionale una vera e propria farsa, funzionale alla deriva autocratica ed antidemocratica del paese e quindi a foraggiare ulteriormente la propaganda della giunta militare. L'autonomia decisionale del Parlamento è stata di fatto abolita con il golpe del 2014. Sebbene la nuova Costituzione preveda il ripristino della "Camera bassa" con 500 membri, al tempo stesso ne riduce l'incidenza con l'elisione del sistema di votazione proporzionale in ottica antipluralista. L'altro quesito referendario prevedeva, poi, la facoltà per il Senato non eletto di designare il Primo Ministro. Nient'altro che una certificazione formale dell'autoritarusmo che imperversa da ormai un biennio nel paese asiatico. All'indomani del voto, il generale Prayuth Chan-ocha ha ufficializzato la data delle prossime elezioni, fissate nel novembre 2017.

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Cracovia (Polonia). Sul Giubileo dei Giovani di Cracovia incombe l'ombra della violenza e dell'odio insensato che ha colpito l'Europa, dalla strage di Nizza all'assalto alla chiesa di Rouen, passando per la sparatoria di Monaco. Durante il volo Bergoglio ha parlato dei fatti di sangue che si stanno susseguendo con un'intensità crescente, compreso l'assassinio di ieri a Rouen: "Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, no di guerre di religione". Il Pontefice ha sottolineato con forza che "Non c'è guerra di religione, c'è guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli". "Noi tutti e le religioni vogliamo la pace, la guerra la vogliono gli altri, capito?". Il Santo Padre ha così spiegato: "Il mondo è in guerra a pezzi: c'è stata quella del 1914 con i suoi metodi, poi il conflitto del '39-'45, l'altra grande guerra nel mondo e adesso c'è questa. Non è tanto organica forse, ma è guerra. Questo santo sacerdote è morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per la chiesa, ma quanti, quanti cristiani, quanti di questi innocenti, quanti bambini vengono uccisi. Pensiamo alla Nigeria - ha esortato - 'ma quella è l'Africa', ma è guerra, non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace". Sulla barbara uccisione del sacerdote francese Jacques Hamal, papa Francesco ha voluto lasciare il suo rigraziamento a tutti quelli che si sono fatti vivi per le condoglianze, e anche il presidente francese Hollande, che lo ha telefonato "come un fratello".

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Ankara (Turchia). Corpi seminudi e ammassati sulla terra, sputi, bastonate, linciaggi, violenze e umiliazioni. E' un'onda di odio e repressione quella che si sta abbattendo in queste ore sulla Turchia, all'indomani del fallito golpe militare, raccontata dai numerosi scatti fotografici pubblicati sul web. Oltre 7.500 arresti, tra cui 100 agenti di polizia, 6.038 soldati, 650 civili e persino 755 tra giudici e procuratori. Quasi 9.000 i licenziamenti dal ministero dell'Interno, di cui 8.000 i poliziotti. Sospesi poi 15.200 insegnanti pubblici e tolte le licenze a 21.000 docenti delle scuole private. Numeri da regime totalitario che il presidente Erdogan sembra quasi ostentare al mondo intero. Di fronte a tutto questo manca un organismo a cui appellarsi, i media sono stati chiusi o lobotomizzati, i social media (sempre) controllati e oscurati. E i prossimi giorni non promettono nulla di buono. Anzi, dalle poche notizie che trapelano possiamo solo immaginare il quadro inquietante in cui si sta sviluppando questa triste storia, iniziata con un golpe quasi sicuramente inventato da ambienti vicini al presidente-sultano, ormai diventato solo il pretesto della campagna persecutoria del regime contro i suoi oppositori, un regolamento di conti programmato e ben organizzato, a dispetto di un colpo di stato fin troppo teatrale. Una situazione che porta la gente a non reagire quasi più alle violazioni, si indigna sì ma lo fa privatamente per paura di esporsi. Una rappresaglia che allarma Europa e Stati Uniti, che dalla solidarietà espressa al presidente turco contro il tentativo di golpe - che ha mietuto 308 vittime in una manciata di ore - sono passati alla preoccupazione per il rispetto dei diritti umani, alle prese con gli ultimi e assurdi intenti di Erdogan di reintrodurre la pena di morte. Non è questa la Turchia che deve entrare in Europa e, soprattutto, avere a che fare con essa. Nessuno Stato può diventare membro dell'Unione Europea se lede i diritti fondamentali della persona e intende introdurre la pena di morte. La morte, appunto, come strumento di terrore per islamizzare ancora una volta la società. La Turchia di Erdogan non può e non deve permettersi il lusso di agire liberamente in questa direzione. Il resto del mondo, dal canto suo, non può starsene a guardare, perché il silenzio favorisce solo la svolta autoritaria. L'Europa alzi la voce e si faccia sentire, fermi Erdogan.

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Ankara (Turchia). E' fallito il colpo di stato militare in Turchia. Decine di migliaia di persone, accogliendo l'appello del presidente Erdogan, sono infatti scese in strada e si sono ribellate al coprifuoco, costringendo i soldati infedeli al Governo a ritirarsi. Tutto questo dopo ore di caos nel Paese in cui ci sono stati scontri a fuoco, esplosioni e decine di morti e feriti. Sarebbero centinaia i morti e migliaia i militari arrestati, mentre sono stati rimossi 5 generali e almeno 29 colonnelli. Il presidente Erdogan, che avrebbe richiesto asilo prima in Germania e poi in Gran Bretagna, è ricomparso all'aeroporto internazionale di Istanbul e, circondato dalla folla festante, ha promesso che i "golpisti la pagheranno molto cara", saranno puniti molto duramente. Ci sono però nel Paese ancora scontri tra militari golpisti e forze fedeli al governo. Ieri sera lo Stato Maggiore dell'esercito aveva annunciato di aver preso il potere in tutto il Paese, i militari avevano bloccato l'aeroporto di Istanbul e fatto irruzione nella sede della tv di Stato, bloccando le trasmissioni. La situazione sembra però non essere ancora sotto controllo, c'è molta tensione e si rischia una guerra civile.

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Ankara (Turchia). Colpo di Stato in Turchia. Lo Stato Maggiore dell'esercito ha annunciato di aver preso il potere in tutto il Paese e i carri armati sono nelle strade di Ankara e di Istanbul. I militari hanno bloccato l'aeroporto di Istanbul e fatto irruzione nella sede della tv di Stato, bloccando le trasmissioni. I soldati hanno intimato alla gente di rientrare nelle case perché affermano sia in vigore "un coprifuoco". Bloccato anche l'accesso ai social media. Il tentativo di colpo di Stato in Turchia coinvolge una parte sostanziale dell'esercito, e non solo pochi colonnelli. Il capo di Stato maggiore sarebbe ostaggio dei militari, almeno secondo quanto riferisce l'agenzia filo-governativa Anatolia. E' stato inoltre decretato la legge marziale e il coprifuoco in tutto il Paese. "Le Forze armate turche - secondo il comunicato dei golpisti - hanno preso il completo controllo dell'amministrazione del Paese per ristabilire l'ordine costituzionale, i diritti umani e le libertà, lo stato di diritto e la sicurezza generale che erano stati danneggiati. Tutti gli accordi internazionali rimangono validi. Speriamo che tutte le nostre buone relazioni con tutti i Paesi continuino". Il premier turco Binali Yildirim sostiene invece che si tratta di un tentativo "illegale" di golpe solo di parte delle forze armate. "Pagheranno un prezzo altissimo", afferma. Presidenza turca: attacco alla democrazia ​"E' un attacco alla democrazia turca. Un gruppo all'interno delle forze armate ha tentato di rovesciare un governo eletto democraticamente". Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha parlato in diretta ad uno smartphone di una giornalista della Cnn Turk. "Sono ancora il presidente della Turchia e il comandante in capo: resistete al colpo di stato nelle piazze e negli aeroporti". Secondo alcune fonti, inoltre, il presidente islamico Erdogan starebbe tentando di lasciare il paese e volare in Germania. Altre fonti affermano che Erdogan è al sicuro e chiama i citadini a ribellarsi ai militari. Tutti i voli in arrivo ed in partenza dallo scalo Ataturk a Istanbul sono stati bloccati dopo il tentativo di golpe militare in corso.

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Nizza (Francia). Ancora terrore per la Francia che deve subire un nuovo massacro dopo quello del 13 Novembre scorso a Parigi. Erano le 22:30 a Nizza quando un camion si è lanciato sul pubblico riunito per la festa nazionale del 14 Luglio sulla Promenade des Anglais, il viale sul lungomare. La folla stava assistendo ai fuochi di artificio. I testimoni raccontano di colpi di fuoco sparati dalla polizia per fermare il camion nella sua corsa folle, lunga ben due chilometri e a zig zag, per fare più vittime possibile. In quel momento stavano esplodendo in cielo i bengala che festeggiano la presa della Bastiglia. Il killer alla guida del camion è stato identificato. Si chiama Mohamed Lahouaiej Bouhlel, un franco tunisino di 31 anni che è stato infine neutralizzato da un uomo e due poliziotti. L'uomo sarebbe riuscito a raggiungere la zona affollata dicendo alla polizia: "Devo consegnare gelati". Sono 84 i morti e un centinaio di feriti di cui 18 in condizioni gravissime. Almeno 54 bambini sono ricoverati all'ospedale Lenval.

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Londra (Regno Unito). Arriva anche il clamoroso addio di Nigel Farage, il leader euroscettico britannico dell'Ukip, all'indomani della vittoria del referendum del 23 Giugno che ha sancito il divorzio dalla Gran Bretagna dall'Ue, suo obiettivo politico da sempre. "Ho deciso di mettermi da parte come leader dell'Ukip perché la vittoria del Leave nel referendum significa che ho raggiunto la mia ambizione politica". "Durante la campagna referendaria, ho detto che volevo di nuovo il mio Paese. Quello che sto dicendo oggi è che voglio indietro la mia vita, proprio adesso". Farage resterà deputato dell'ukip nell'Europarlamento e manterrà anche anche la carica di presidente del gruppo euroscettico Efdd, dove l'Ukip è alleato del M5s, riferisce all'Ansa il portavoce del partito, Hermann Kelly. La decisione di Farage, arriva pochi giorni dopo un altro annuncio inatteso, da parte dell'altro protagonista del fronte pro Brexit, l'ex sindaco di Londra Boris Johnson, il quale ha reso noto che non correrà per la leadership del Partito Conservatore e di conseguenza per diventare premier britannico.

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E' ufficiale, Londra dice addio all'Europa. Nella notte c'è stato il sorpasso di Brexit con circa un milione di voti. L'affluenza definitiva alle urne del 72,2% ha restituito il risultato netto del 52% a favore della Brexit: secondo i sondaggi, giovani e laureati si sarebbero esperessi per il "Remain", gli over 65 per l'uscita dalla Ue. Una notizia inattesa, destinata a rivoluzionare lo scenario politico del Vecchio Continente e che ha già innescato un terremoto finanziario, prima sui mercati asiatici e ora anche su quelli europei. La vittoria del "Leave" al referendum britannico è stata ufficializzata da Jenny Watson, presidente della Commissione Elettorale. Parlando dal municipio di Manchester, Watson ha confermato che i voti a favore della Brexit sono stati 17.410.742 e quelli a favore della permanenza nella Ue 16.1414,241 su un totale di 33.577.342 votanti.
Il primo risultato del voto sono le dimissioni del premier. "Il voto del popolo britannico sarà rispettato", dice il primo ministro David Cameron nella conferenza stampa post voto dove poi annuncia le dimissioni: "Non posso essere io a guidare il Paese verso questo nuovo impegno - dice Cameron - Serve una nuova leadership". "Ci dovrà essere un nuovo primo ministro eletto entro ottobre", spiega ancora aggiungendo che il nuovo premier "dovrà guidare i negoziati con l'Ue". Per Nigel Farage, promotore del "Leave" e leader dell'Ukip, è stata una "la vittoria della gente comune contro le grandi banche, il grande business e i grandi politici. Ora c'è bisogno di un governo Brexit, che faccia il suo lavoro, che inizi subito il processo di rinegoziazione". "Diciassette milioni di persone hanno detto che dobbiamo uscire dall'Ue - ha aggiunto Farage - Adesso ci siamo liberati per poter stringere accordi di associazione e commercio con tutto il resto del mondo. Ci siamo ridati la possibilità di collegarci all'economia globale di tutto il mondo".
Crollano le borse asiatiche e affondate in partenza quelle europee. La sorpresa è stata forte e i crolli sui mercati proporzionati: nelle ore dello spoglio del referendum in Gran Bretagna i listini sono crollati (sterlina -10%, la Borsa di Tokyo ha toccato punte di calo dell'8%), mentre i beni rifugio (oro e derivati sui titoli di Stato Usa) stanno ovviamente correndo. Il mercato azionario di Tokyo - che ha applicato il 'circuit breaker' per inibire le funzioni di immissione e modifica degli ordini limitando i ribassi troppo elevati - è il listino borsistico aperto durante lo spoglio del voto che ha accusato maggiormente il colpo, arrivando a perdere con l'indice Nikkei fino all'8,17%, lasciando sul terreno oltre 1.300 punti. Hong Kong scende oltre il 4%, con Seul, Sidney e Mumbai che cedono piu' del 3%.
Analizzando il voto emergono molti dati intereassanti. Il "Remain" ha perso il referendum con 16.141.241 voti. I britannici che hanno votato per uscire dall'Ue sono stati 17.410.742. Ma Scozia, Irlanda del Nord (e anche Londra) hanno votato largamente per restare. Il Galles e il resto d'Inghilterra per l'uscita. In particolare In Irlanda del Nord il "Remain" ha vinto con il 55,8% a fronte di un 44,2% attribuito al "Leave". In Galles il "Leave" ha ottenuto il 52,5% battendo il "Remain", fermatosi al 47.5%. In Scozia il no alla Brexit ha prevalso col 62,0% mentre per l'uscita dall'Ue ha votato il 38,0% degli elettori. Così il Regno Unito potrebbe ora affrontare una minaccia per la sua sopravvivenza: un nuovo referendum sull'indipendenza scozzese dopo che quello del 2014 aveva sancito il legame con il Regno Unito. La prima ministra sella Scozia Nicola Sturgeon ha dichiarato infatti che il voto "chiarisce come la gente della Scozia veda il proprio futuro come parte dell'Unione europea".
"Ora mi aspetto che il negoziato sulle condizioni della Brexit fra l'Ue e il Regno Unito cominci rapidamente, e che non si trascini per anni: non sarebbe nell'interesse di nessuna delle due parti. Negozieremo seriamente, ma con il Regno Unito come Paese terzo". Lo ha affermato questa mattina a Bruxelles il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz in alcune dichiarazioni alla rete Tv tedesca Zdf e alla Bbc. Sottolineando che il primo ministro britannico David Cameron "ha la responsabilità " di quanto è accaduto, Schulz ha osservato che "non si può ignorare il risultato del referendum" e ha aggiunto di aspettarsi "che inneschi al più presto la procedura dell'articolo 50" del trattato Ue, quello che prevede l'inizio dei negoziati per il divorzio dall'Unione con la notifica della volontà di recesso da parte del governo dello Stato membro interessato, e che prevede la conclusione delle trattative entro due anni.
Analizzando il voto emergono molti dati intereassanti. Scozia, Irlanda del Nord (e anche Londra) hanno votato largamente per restare. Il Galles e il resto d'Inghilterra per l'uscita. In particolare In Irlanda del Nord il "Remain" ha vinto con il 55,8% a fronte di un 44,2% attribuito al "Leave". In Galles il "Leave" ha ottenuto il 52,5% battendo il "Remain", fermatosi al 47.5%. In Scozia il no alla Brexit ha prevalso col 62,0% mentre per l'uscita dall'Ue ha votato il 38,0% degli elettori. Così il Regno Unito potrebbe ora affrontare una minaccia per la sua sopravvivenza: un nuovo referendum sull'indipendenza scozzese dopo che quello del 2014 aveva sancito il legame con il Regno Unito. La prima ministra della Scozia Nicola Sturgeon ha dichiarato infatti che il voto "chiarisce come la gente della Scozia veda il proprio futuro come parte dell'Unione Europea".
Di seguito la mappa che espone chiaramente come si sia votato nel Regno Unito. In BLU per il Remain e in ROSSO per il Leave.


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- Giovanni Apadula By
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Vienna. Il secondo turno delle presidenziali austriache ha visto la vittoria di misura dell'ex leader dei Verdi Alexander Van der Bellen, che ha battuto di poche migliaia di voti il suo avversario Norbert Hofer, il candidato dell'estrema destra. Van der Bellen ha totalizzato il 50,3% dei consensi, contro il 49,7% racimolato da Hofer. Una vittoria sul filo di lana, una differenza di appena 31 mila voti che porta per la prima volta all'Hoberg un candidato dei Verdi, indicativa perché ha ribaltato parzialmente le previsioni della vigilia, che vedevano in vantaggio il candidato ultraconservatore. Decisive, come sottolinea Der Standard, le votazioni per corrispondenza, circa il 14% degli aventi diritto. Sulle presidenziali viennesi si erano attestate le attenzioni di numerosi addetti ai lavori ed osservatori internazionali, dopo l'affaire muro alla frontiera del Brennero in funzione anti-profughi ed i continui rinforzi inviati al confine, anche in queste ore. Positiva è stata l'affluenza alle urne, con il 71,8% degli aventi diritto che ha espresso la sua preferenza. Van der Bellen è ex leader dei Verdi ed ex professore di economia. Il cognome non tradisce le origini olandesi della famiglia, i cui antentati erano emigrati in Russia nel '700 e di lì in Estonia e poi Austria all'indomani della Rivoluzione Bolscevica. Spetterà a lui ora vigilare sul corretto corso dell'ordinamento costituzionale austriaco. Buona parte della stampa continentale ha salutato la sua vittoria con un sospiro di sollievo, specie per l'azione frenante al dilagare dell'estremismo di destra registrato in molte delle recenti consultazioni elettorali. Il confronto vis-à-vis tra Van der Bellen ed Hofer ha innanzitutto picconato il bipartitismo perfetto che, da circa 70 anni, aveva espresso il colore del Presidente: i due partiti della Große Koalition, vale a dire i democristiani della ÖVP e i socialisti della SPÖ, anch'essi inquinati dalla paranoia xenofoba, sono stati spazzati via già al primo turno da Grüne (Verdi) ed FPÖ, che propria sull'emergenza migranti hanno costruito le loro prospettive elettorali. Chi, come il neo presidente, facendo leva sulla tradizione cosmopolita ed integrazionista del paese; chi, come Hofer, riecheggiando gli strali del capopartito Strache, ultranazionalista e con chiare posizioni discriminatorie verso i profughi. L'Austria del dopo-presidenziali è dunque un paese spaccato esattamente a metà, dove in sostanza un cittadino su due ha accordato il proprio voto ad un movimento che persegue intenti xenofobi e che sembra destinato ancora a crescere nella lunga corsa che porterà alle elezioni politiche del 2018, vera cartina tornasole del prossimo corso di Vienna.

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E' salito attualmente a 379 il numero delle denunce sporte da donne che, durante la notte di Capodanno a Colonia, hanno subito furti e molestie da parte di un folto gruppo di emigrati nordafricani. Il 40% di tali denunce rivela un reato di natura sessuale, secondo quanto rivela il quotidiano "La Repubblica". Simili accaduti si sono registrati, anche se in maniera più contenuta, ad Amburgo e Stoccarda. I fermati dalla Polizia sono più di 30, di una fascia di età che va dai 15 ai 35 anni, 29 dei quali con regolare permesso di soggiorno in Germania. Lo scandalo è costato la testa del capo della Polizia Wolfgang Albers, reo di non aver saputo gestire la situazione e tutelato la sicurezza di chi in piazza voleva soltanto festeggiare, e creato molto imbarazzo nel Cdu dell'austera cancelliera Angela Merkel. "Abbiamo assistito ad azioni criminali disgustose con donne attaccate e molestate - ha commentato la Premier - tutto va chiarito e messo sul tavolo. Chi ha sbagliato pagherà". Il Cdu ha proposto un inasprimento nelle procedure di concessione del permesso di soggiorno per quei rifugiati, emigrati e richiedenti asilo che si macchiano di reati: la proposta, subito ribattezzata "Dichiarazione di Magonza" - perché avvenuta durante un summit del partito nell'omonima città - rischia di complicare ulteriormente il processo di integrazione di quei migranti accolti pochi mesi prima nelle fiorenti terre tedesche. L'entourage della Merkel sembra infatti molto preoccupato, ma non per la situazione in sé, quanto per la rapida discesa del saldo consenso di cui fino a poco tempo fa godeva il partito. A complicare ulteriormente la situazione le manifestazioni tenutesi oggi a Colonia, che ha visto contrapporsi il partito anti-islamico Pegida e quello di estrema destra "Pro Koehln" a numerose organizzazioni anti-razziste. Necessari l'intervento della Polizia con tanto di cannoni ad acqua per disperdere la folla: situazione molto più pacifica invece durante il flash-mob organizzato dal movimento femminista sulle scale del Duomo, dove si sono consumati i tragici fatti. Quando si va incontro a cambiamenti estremi, i reazionari ci convincono che la strada vecchia è la migliore, che le culture sono inconciliabili. Senza voler giustificare l'ingiustificabile, quanto le donne "occidentali" possono sentirsi sicure in una civiltà in cui comunque predomina il maschio violento, sia esso musulmano o cattolico? E' proprio in questi frangenti che notiamo quanto il pregiudizio contro i musulmani, che a loro volta trattano le donne come oggetti, diventa scusa per alimentare le fobie degli occidentali, i quali si trincerano dietro una malcelata e maldigerita parità dei sessi? Siamo in guerra e la guerra non si combatte più in trincea, bensì tra i tavolini di un bar, durante un concerto, negli alberghi di lusso, sui banchi di scuola. Gli uomini, a prescindere dall'appartenenza culturale e religiosa, decidono di insidiare le donne di altri uomini loro ostili, considerandole loro emanazioni. Non è una novità: accadeva già a Colonia, in quel preciso luogo e accade in altri posti del mondo. Solo che stavolta ha fatto rumore perché la situazione è sfuggita di mano alle autorità, perché lo straniero che gira impunito per le nostre strade fa paura. Il Duomo di Colonia è luogo di incontro di tutti quegli immigrati che non hanno legami e famiglia e vivono situazioni di disagio: che questo dato di fatto non diventi una giustificazione per quanto di becero è stato commesso - le testimoni parlano di palpeggiamenti insistenti, furti, frasi volgari, minacce - piuttosto diventi lo spunto di riflessione non solo per comprendere quanto noi occidentali siamo terrorizzati dal diverso, ma anche quanto il diverso sia terrorizzato da noi e che il frutto di questa ostilità si riversi, in una sorta di razzismo del razzismo, sull'universo femminile, destinato ad essere doppiamente vittima a prescindere dal sistema culturale al quale si fa riferimento.

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Philadelphia. Per la prima volta, una città degli Stati Uniti entra nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'Unesco. Il prezioso riconoscimento è stato assegnato a Philadelphia, per il suo ricco valore "storico, culturale ed artistico". Già nel 1979 la città statunitense aveva ottenuto un primo riconoscimento, allorquando l'Unesco dichiarò patrimonio dell'umanità l'Independence Hall, ossia l'edificio all'interno del quale fu firmata la Dichiarazione d'Indipendenza delle 13 colonie il 4 Luglio 1776. La nomina, ora, viene estesa all'intera città della Pennsylvania e non soltanto ad una sua parte. Oltre alla rilevanza storico-artisitica, i criteri che hanno portato alla decisione finale della giuria sono stati i "principi di libertà e democrazia" che informano Philadelhpia e che, insieme al valore culturale, hanno portato all'ascesa della città fino al tanto agognato premio. L'Independence Hall è situato nella parte più antica della città, dove scorre il fiume Delaware e dove si trovano la President's House, la prima residenza di un presidente degli Usa, il National Consitution Center e il museo di Benjamin Franklin. Dall'altra parte della città si aprono invece le strutture moderne, con i grattacieli e i moderni uffici che disegnano una suggestiva skyline a ridosso del fiume Schuylkill. Al centro geometrico della città si trova la City Hall, il municipio cittadino, in cima alla cui guglia è stata issata una statua di William Penn. Tra le attrazioni principali, oltre ai numerosi spazi verdi, anche l'Accademia di Scienze Naturali ed il Philadelphia Museum of Art, fondato in occasione dell'Esposizione Universale del 1876 e dove è possibile ammirare dipinti di diverse scuole: da quella americana (Turner, Eakins) a quella italiana (Correggio, Pinturicchio, Beato Angelico tra gli altri), passando per quelle fiammingo-olandese (Bosch, Van Gogh, Rubens) e francese (Cézanne, Delacroix, Matisse, Manet). Lungo la Franklin Parkway hanno inoltre sede anche la Barnes Foundation, sede di opere di artisti impressionisti moderni, e la Parkway Central Library, che raccoglie una collezione di scritti originali di Charles Dickens. Nella città ha inoltre sede una delle più antiche compagini musicali statunitensi, la famosa Orchestra di Philadelphia, fondata nel 1900 da Fritz Scheel.

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Parigi. Il terrore è ripiombato a Parigi a soli 10 mesi dall'attentato alla redazione di Charlie Hebdo verificatosi lo scorso 7 Gennaio. Ieri sera ben sei attacchi terroristici si sono verificati in diverse zone della capitale francese sconvolgendo non solo la nazione ma l'intera Europa: una sparatoria a colpi di kalashnikov ha dato il via, a partire dal X e dall'XI arrondissement, ad una serie ininterrotta di attentati che si sono diffusi a macchia d'olio. Colpi di arma da fuoco in un ristorante, in una sala dove si era appena svolto il concerto di una band californiana, in un bar, nella zona di Les Halles, due attacchi kamikaze ed un ordigno allo Stade De France di Saint Denis dove si stava svolgendo una partita amichevole tra Francia e Germania. Il bilancio dei morti è impressionante: ben 128 vittime e si teme che il numero possa salire ulteriormente nelle prossime ore, 200 i feriti di cui 80 in condizioni gravissime. Nella Sala Bataclan tre terroristi sono stati freddati dagli agenti di polizia ma ciò non ha impedito loro di trucidare senza pietà numerosi ostaggi. L'Italia, come tutta l'Europa, vive ore di angoscia ed è col fiato sospeso anche perché sono moltissimi i connazionali che per motivi di lavoro, studio o vacanza si trovano nella capitale francese.La Farnesina sta cercando di rintracciare una giovane di 28 anni, Valeria Solesin, veneziana, che al momento dell'attentato si trovava nella Sala Bataclan in compagnia del fidanzato, di lei infatti si sono perse le tracce ieri sera, inoltre due italiani originari di Senigallia sono stati feriti in modo lieve. Intanto le testimonianze dell'orrore non si contano più: un uomo è salvo per miracolo in quanto al momento della sparatoria era a telefono ed una delle pallottole si è miracolosamente conficcata nel suo smartphone salvandogli, di fatto, la vita. Centinaia di persone sono fuggite a piedi non appena si sono accorte di ciò che stava accadendo, mentre i terroristi sparavano all'impazzata sulla folla. Gli ostaggi presi dai terroristi venivano freddati senza alcuna pietà, chi si è salvato ha raccontato che gli assalitori caricavano le armi a ripetizione e sparavano con lucida follia contro i bersagli umani. Il presidente francese Hollande era allo stadio dove si stava svolgendo la partita amichevole tra Francia e Germania quando è stato informato dell'accaduto ed è stato fatto uscire in fretta dalla struttura dove, nel frattempo, i giocatori e il pubblico erano rimasti bloccati. Nonostante fosse piuttosto chiaro quale fosse la matrice da cui si era originato l'attentato, soprattutto perché gli attentatori urlavano "Allahu Akbar, Allah è grande", attraverso la rete è stato rivendicato l'attacco come vendetta per i raid in Siria e l'Isis ha dichiarato che quello di ieri è "il nuovo 11 Settembre". Parigi è stata scelta perché definita come "capitale dell'abominio e della perversione" ma i jihadisti hanno anche precisato che questo è solo l'inizio di un fiume di attentati che coinvolgerà l'intera Europa. La capitale francese ha dichiarato lo stato di emergenza, le scuole, i ristoranti, i musei e alcune fermate della metro sono state chiuse, le frontiere sono state chiuse, è stato proclamato il lutto nazionale per tre giorni. La Francia e l'intera Europa sono sotto choc, a Roma si respira un'aria pesante e vi è quasi un'atmosfera irreale mentre i cittadini e i turisti percorrono le strade della capitale senza la consueta vivacità, le misure antiterrorismo sono aumentate in modo esponenziale. L'atroce attentato di Parigi ha inferto una nuova ferita alla democrazia, una ferita che difficilmente potrà rimarginarsi.