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Sono molteplici le decisioni delle corti tributarie ma anche della Cassazione che hanno censurato il comportamento di Equitalia quando non segue con correttezza le procedure d'esazione. L'ennesima pronuncia, la n. 18380 del 26 ottobre 2012 emessa dalla sezione tributaria della Suprema Corte, nel rigettare il ricorso avverso due precedenti pronunce favorevoli nei confronti di un contribuente da parte della commissione tributaria provinciale di Milano e di quella regionale della Lombardia, ha bacchettato nuovamente l'agente per la riscossione. Nei due precedenti delle corti di merito era stato rilevato che il fermo amministrativo, non poteva essere iscritto (ed è quindi da ritenersi illegittimo), perché non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento al contribuente che costituisce il titolo per poter procedere anche per l'adozione di qualsiasi provvedimento cautelare. E' questo, sostanzialmente il principio di diritto cui deve attenersi la società esattrice per poter procedere con l'imposizione delle cosiddette ganasce fiscali. A sostenerlo è Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti", che rileva come in moltissimi casi sul territorio nazionale tale assunto non sia sempre rispettato ed anzi sono molteplici le segnalazioni di provvedimenti, a dir poco illegittimi, di tal tipo. Nel caso di specie, i giudici del Palazzaccio nel rigettare il ricorso di Equitalia avverso la decisione della Ctr della Lombardia hanno precisato che «nel concreto, il quesito di diritto formulato dalla ricorrente Equitalia si limita a postulare che il preavviso di fermo sia comunque legittimo, seppure non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento, mentre non tiene conto del fatto che il nucleo logico della decisione impugnata consiste nel rilievo che l'omessa dimostrazione dell'avvenuta notifica delle cartelle implica l'accertamento della decadenza dal diritto alla riscossione, con implicita conseguenza della insussistenza di qualsivoglia titolo per l'adozione di provvedimenti di genere cautelare ».

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Investire nei Bond Parmalat e Cirio era rischioso e le banche dovevano informare i propri clienti anche quando ancora non si parlava di default. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la decisione numero 18038/2012 che ha dato ragione ai risparmiatori. La sentenza ha affrontato il problema della valutazione, da parte delle banche, della propensione al rischio di chi fa investimenti, sottolineando che la propensione al rischio, anche se non è stata rivelata dal cliente, può essere desunta dal suo profilo. Nella parte motivata della sentenza la Corte spiega, tra le altre cose, introducendo tra le righe una regola fondamentale valida pro futuro: "in ogni caso la banca è tenuta a dare le necessarie informazioni sui rischi legati agli investimenti". Secondo la Cassazione le banche non possono giustificarsi per il solo fatto che non fosse chiaro il rischio di default delle due società e neppure possono addurre a discolpa il fatto che i titoli fossero regolarmente venduti anche da altri istituti che li consideravano convenienti. Se poi si considera che i bond Cirio e Parmalat non avevano un rating ufficiale, il loro livello di rischio era immediatamente precedente a quello speculativo. Ricordiamo che i casi Cirio e Parmalat insieme a quelli dei Bond Argentina hanno coinvolto più di 500.000 investitori italiani tra cui migliaia di pensionati, artigiani, operai e dipendenti, per una cifra di circa 15 miliardo di euro. Soddisfazione in tal senso è stata espressa da Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti", che finalmente avverte efficacemente la vicinanza delle Istituzioni nei confronti dei risparmiatori traditi. Inoltre si vuole informare che è ancora possibile esercitare azione legale nei confronti delle banche per ottenere la restituzione delle somme corrisposte per l'acquisto delle obbligazioni che riguardano Cirio, Parmalat, Argentina e Giacomelli.

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Dipendenti pubblici: incostituzionale la trattenuta del 2,5% sulle buste paga degli ultimi 2 anni che va restituita. I lavoratori che fossero interessati, devono inviare una diffida alle amministrazioni di appartenenza allo scopo di sollecitare l'interruzione immediata della ritenuta del 2,5% e rimborsare gli importi illegittimamente trattenuti. Ciò riporterebbe nelle tasche del lavoratore pubblico di "fascia C" una media di 600 euro all'anno. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 232 depositata il 12/10/2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 10 del D.L. 78/2010, riguardante la trattenuta del 2,5% sulla retribuzione dei pubblici dipendenti, nonostante la norma prevedesse l'applicazione dell'articolo 2120 del Codice Civile, a decorrere dal 1 ° Gennaio 2011. Una sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di numerosi articoli della Legge 122/2010, tra cui l'art.12 c.10 che disponeva il permanere della trattenuta del 2,5 per cento sulla retribuzione, nonostante la norma prevedesse l'applicazione dell'art. 2120 del codice civile in tema di trattamento di fine servizio, in luogo dell'indennità di buonuscita. Ciò ha provocato per due anni una trattenuta a carico del dipendente pubblico pari al 2.5% calcolato su una base dell'80% della retribuzione, dal 1 gennaio 2011: dunque, le amministrazioni dovranno restituire ai lavoratori le somme illegittimamente trattenute. Ciò riporterebbe nelle tasche del lavoratore pubblico di fascia C una media di 600 euro all'anno. Infatti come è noto, l'art. 12 co. 10 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010 n. 122 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), ha modificato il computo del TFS di cui sono destinatari i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Alla luce delle modifiche introdotte, a decorrere dal 1 ° gennaio 2011, l'indennità di buonuscita non è stata più più calcolata sul 9,60% - di cui 7,10% a carico delle Amministrazioni e 2,5% a carico dei dipendenti - dell'80% dell'ultima retribuzione annua utile, ma quantificata accantonando (in modo virtuale) annualmente il 6,91% della retribuzione utile (con la rivalutazione di cui all'art. 2120 co. 4 c.c.). La buonuscita, pertanto, dal 1 ° gennaio dello scorso anno, ha seguito il metodo di calcolo del TFR e non più quello del TFS, con conseguente disapplicazione del sistema di calcolo di cui al d.P.R. n. 1032/1973 ed escludendo quindi la trattenuta del 2,5% a carico del lavoratore. Ciononostante, le amministrazioni hanno continuato ad operare le trattenute, con una sottrazione ingiustificata del 2,5% sugli stipendi, che ha penalizzato e continua a penalizzare i pubblici dipendenti. Sulla questione, negli ultimi mesi, si sono registrate diverse pronunce giurisdizionali favorevoli come quella del TAR di Reggio Calabria (sentenza n. 53/2012) che ha parzialmente accolto le doglianze dei ricorrenti dichiarando illegittima la decurtazione del 2,5% della retribuzione. Della questione il TAR di Reggio Calabria ha investito la Corte Costituzionale in riferimento agli articoli 3 e 36 della Costituzione. La pronuncia della Corte Costituzionale ha effetto erga omnes, ossia per tutti, e non soltanto nei confronti dei partecipanti al ricorso al T.A.R. dell'Umbria, ossia al giudizio in seno al quale è stata sollevata la questione di costituzionalità positivamente decisa con la sentenza n. 223/2012. Le Amministrazioni di appartenenza devono dunque provvedere alle dovute restituzioni. In altre parole, sottolinea Giovanni D'Agata, fondatore dello "Sportello dei Diritti", se così non fosse ogni lavoratore interessato può adire le vie giudiziarie tenendo conto che il termine di prescrizione è quinquennale e ha preso a decorrere dal 1 ° gennaio 2011. E' chiaro che di un pronunciamento pesante come quello della Corte costituzionale, lo Stato dovrà tener conto, tuttavia, la possibilità che quei soldi tornino in tempi brevi nelle tasche degli interessati è piuttosto bassa. Per queste ragioni, i lavoratori che fossero interessati, devono inviare una diffida alle amministrazioni di appartenenza allo scopo di sollecitare l'interruzione immediata della ritenuta del 2,5% e rimborsare gli importi illegittimamente trattenuti a decorrere dal 1 ° gennaio 2011.

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- Comunicato ufficiale Amnesty International By
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Il 10 ottobre, la Coalizione mondiale contro la pena di morte e gli abolizionisti di tutto il mondo celebrano il 10 ° anniversario della Giornata mondiale contro la pena di morte che, quest'anno, si focalizza sui successi e i progressi verso l'abolizione compiuti in 10 anni. In questo decennio, diversi paesi hanno ridotto l'uso della pena di morte; alcuni hanno posto fine a condanne ed esecuzioni, confermandone l'intenzione con la ratifica del Secondo protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici volto all'abolizione della pena capitale e votando a favore delle risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedono una moratoria sulle esecuzioni. Dal 2002, 21 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati (Albania, Argentina, Armenia, Bhutan, Burundi, Isole Cook, Cipro, Gabon, Grecia, Kirghizistan, Lettonia, Messico, Montenegro, Filippine, Ruanda, Samoa, Senegal, Serbia, Togo, Turchia e Uzbekistan), di cui 17 paesi dalla prima Giornata mondiale contro la pena di morte, il 10 ottobre 2003. La tendenza mondiale continua ad andare verso la completa abolizione. Rispetto al 2002, i paesi che eseguono condanne a morte sono diminuiti di più di un terzo: nel 2011, 21 paesi hanno registrato esecuzioni in confronto ai 31 paesi di 10 anni fa. All'epoca della prima Giornata contro la pena di morte, nel 2003, i paesi che avevano eseguito condanne a morte erano 28. Anche le condanne a morte sono diminuite, così come il numero di persone nel braccio della morte in alcuni paesi, a seguito di commutazioni di sentenze capitali. Molti stati hanno ridotto l'applicazione della pena di morte come punizione inflitta ad alcune categorie di persone, inclusi i minori di 18 anni, le donne incinte, le persone che soffrono di malattia mentale e di ritardo mentale. Tali divieti sono in linea con le norme contenute nelle Salvaguardie a garanzia della protezione di coloro che affrontano una condanna a morte. Queste restrizioni riflettono le norme stabilite dagli altri organi di diritto internazionale e regionale e, negli ultimi 10 anni, molti paesi mantenitori hanno messo in atto queste garanzie.
Nonostante la progressiva restrizione della pena di morte, l'ultimo decennio ha visto anche la sua espansione in altre aree che destano preoccupazione: 1) droga: in particolare, 32 paesi hanno ancora leggi che impongono la pena di morte per reati legati alla droga; 2) terrorismo: alcuni paesi hanno adottato o emendato leggi che prevedono l'uso della pena di morte per alcuni atti di terrorismo, inclusi reati che non necessariamente hanno conseguenze letali. Spesso questi reati sono definiti in termini ampi e generici, quindi potrebbero essere applicati a una grande varietà di azioni; 3) omosessualità: alcuni paesi, tra cui Liberia e Uganda, hanno cercato di avviare procedimenti legislativi per rendere punibile con la morte gli atti di omosessualità. Dopo le proteste internazionali, entrambi i governi hanno dichiarato che la pena di morte è stata rimossa dalle rispettive legislazioni nazionali.
Quest'anno sarà presentata una risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite (15 dicembre). Dal 2007 la risoluzione della moratoria ha riscosso un sostegno crescente, in linea con la crescita della tendenza mondiale verso l'abolizione. I voti a favore della moratoria sono aumentati ogni anno, dai 104 del 2007, 106 nel 2008, fino ai 109 del 2010. I voti contrari sono diminuiti, 54 nel 2007, 46 nel 2008 e 41 nel 2010. Nel 2008, un cambiamento significativo è avvenuto nel mondo arabo. Nel 2010, un paese (l'Algeria, che ha anche co-sponsorizzato la risoluzione) ha votato a favore, 11 si sono astenuti o erano assenti durante il voto e solo nove hanno votato contro. Un risultato migliore del 2007, dove un solo paese della Lega Araba aveva votato a favore, sei si erano astenuti o erano assenti e 14 avevano votato contro. Nell'ambito del voto sulla moratoria, l'obiettivo principale di Amnesty è: aumentare il numero dei voti a favore (nel 2010 sono stati 109); aumentare il numero di stati membri che passano dal voto contrario (41 voti nel 2010) all'astensione (35 nel 2010); aumentare il numero di stati membri co-promotori della risoluzione (90 nel 2010); garantire che il testo della risoluzione non sia indebolito rispetto a quello 2010 (risoluzione 65/206). In occasione della Giornata Mondiale contro la pena di morte gli attivisti di Amnesty International si attiveranno in favore di Reggie Clemons, afroamericano condannato a morte nel Missouri nel 1991, e di Chiou Ho-shun, condannato a morte nel 1989 a Taiwan. Unisciti a noi e firma anche tu gli appelli!
Nonostante la progressiva restrizione della pena di morte, l'ultimo decennio ha visto anche la sua espansione in altre aree che destano preoccupazione: 1) droga: in particolare, 32 paesi hanno ancora leggi che impongono la pena di morte per reati legati alla droga; 2) terrorismo: alcuni paesi hanno adottato o emendato leggi che prevedono l'uso della pena di morte per alcuni atti di terrorismo, inclusi reati che non necessariamente hanno conseguenze letali. Spesso questi reati sono definiti in termini ampi e generici, quindi potrebbero essere applicati a una grande varietà di azioni; 3) omosessualità: alcuni paesi, tra cui Liberia e Uganda, hanno cercato di avviare procedimenti legislativi per rendere punibile con la morte gli atti di omosessualità. Dopo le proteste internazionali, entrambi i governi hanno dichiarato che la pena di morte è stata rimossa dalle rispettive legislazioni nazionali.
Quest'anno sarà presentata una risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite (15 dicembre). Dal 2007 la risoluzione della moratoria ha riscosso un sostegno crescente, in linea con la crescita della tendenza mondiale verso l'abolizione. I voti a favore della moratoria sono aumentati ogni anno, dai 104 del 2007, 106 nel 2008, fino ai 109 del 2010. I voti contrari sono diminuiti, 54 nel 2007, 46 nel 2008 e 41 nel 2010. Nel 2008, un cambiamento significativo è avvenuto nel mondo arabo. Nel 2010, un paese (l'Algeria, che ha anche co-sponsorizzato la risoluzione) ha votato a favore, 11 si sono astenuti o erano assenti durante il voto e solo nove hanno votato contro. Un risultato migliore del 2007, dove un solo paese della Lega Araba aveva votato a favore, sei si erano astenuti o erano assenti e 14 avevano votato contro. Nell'ambito del voto sulla moratoria, l'obiettivo principale di Amnesty è: aumentare il numero dei voti a favore (nel 2010 sono stati 109); aumentare il numero di stati membri che passano dal voto contrario (41 voti nel 2010) all'astensione (35 nel 2010); aumentare il numero di stati membri co-promotori della risoluzione (90 nel 2010); garantire che il testo della risoluzione non sia indebolito rispetto a quello 2010 (risoluzione 65/206). In occasione della Giornata Mondiale contro la pena di morte gli attivisti di Amnesty International si attiveranno in favore di Reggie Clemons, afroamericano condannato a morte nel Missouri nel 1991, e di Chiou Ho-shun, condannato a morte nel 1989 a Taiwan. Unisciti a noi e firma anche tu gli appelli!

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Salerno. Ha avuto luogo questa mattina la conferenza stampa organizzata dal Centro Informagiovani volta a promuovere l'evento "CreAttiviamo la Città" organizzato con il prezioso ausilio del Comune di Salerno e dell'Osservatorio Comunicazione Partecipazione Culture Giovanili (OCPG) dell'Università degli Studi di Salerno. Il festival avrà una durata di quattro giorni, a partire da oggi, presso il Centro polifunzionale Arci in via Porta Catena, 62 e vedrà protagonisti i giovani impegnati in una serie di iniziative stimolanti e creative. "L'evento nasce come opportunità di formazione e il programma si svilupperà in diverse sezioni: saranno presenti esposizioni durante le quali vi sarà una vera e propria "chiamata alle arti" volta a raccogliere i lavori di un target giovanile di età compresa tra i 16 e i 35 anni - queste le parole del Presidente dell'Arci Giuseppe Cavaliere - ma vi saranno anche workshop formativi nell'ambito della musica, delle arti visive, del teatro e performance live ad opera degli studenti del Liceo Artistico "Sabatini-Menna" nonché dei giovani attori provenienti da associazioni e officine teatrali". Parole di grande entusiasmo vi sono state anche da parte della dott.ssa Stefania Leone, coordinatrice dell'OCPG: "Il nostro scopo è quello di dare vita alle città e ai piccoli territori ed è nostro interesse coinvolgere quanto più possibile i giovani. Ringraziamo il Comune di Salerno per la grande collaborazione e speriamo che questo festival sia un modo per dare voce ai ragazzi, facendo conoscere le loro opere". "Si è svolto recentemente il contest "Chapeau...tanto di cappello" che ha dato l'opportunità non solo agli adulti ma anche ai bambini di cimentarsi nella creazione di cappelli personalizzati e proprio per questo originalissimi - questo l'intervento di Antonietta Fortunato - e ci auguriamo che la nostra nuova iniziativa sia ugualmente sentita e che la partecipazione sia altrettanto numerosa". Nel corso dell'incontro è stato proiettato il video "Salerno made of Italy" che ha raccolto una panoramica degli scorci più suggestivi della città, soffermandosi su aspetti poco conosciuti come le piccole realtà artigiane che con la loro passione contribuiscono ad incrementare l'economia del capoluogo tra passato, presente e futuro. Soddisfazione e compiacimento da parte dell'Assessore al Turismo Enzo Maraio che si è così espresso in merito all'iniziativa: "Vi porto i saluti del Sindaco che, come me, apprezza il programma ricco e variegato del festival. "Informagiovani" si distingue per le sue iniziative originali poiché offre alle nuove generazioni la possibilità concreta di esprimere al meglio le proprie capacità. Il video mi ha molto colpito, soprattutto la scelta di mostrare luoghi della città finora poco noti ma estremamente caratteristici". Il consulente delegato per le Politiche Giovanili Nico Mazzeo è così intervenuto in occasione delle conferenza stampa: "Informagiovani" si configura come una realtà importante oltre che utile per l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Speriamo che gli enti contribuiscano concretamente dal punto di vista economico per alimentare queste iniziative. Il mio in bocca al lupo va a tutti partecipanti che si impegneranno in questi giorni". Attività poliedriche e possibilità di espandere i propri orizzonti attraverso un melting pot artistico a 360 gradi: questo l'intento di "CreAttiviamo". Per ulteriori informazioni e per iscriversi al festival è possibile collegarsi al sito www.informagiovanisalerno.it

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Cgil Funzione Pubblica, Uil Pubblica Amministrazione, Flc Cgil, Uil F.L.P. e Uil Rua, hanno indetto lo sciopero generale per la giornata di oggi, venerdì 28 Settembre, con lo slogan "AGD - Abbiamo Già Dato". I sindacati protestano contro le manovre di questo governo che colpisce sempre i più deboli e contro la "spending review" che colpisce il paese, il suo sistema di protezione sociale, i diritti dei cittadini, i giovani e i pensionati. Il taglio dei servizi pubblici, la riduzione del personale con 110.000 dipendenti pubblici in mobilità "selvaggia", la contrazione dei diritti del lavoro, il licenziamento dei precari, l'indebolimento della ricerca e della cultura si abbatteranno drammaticamente e ancor più su chi ha già pagato fin troppo gli effetti di questa crisi. Restano invece intatte le grandi ricchezze ed i patrimoni, gli evasori fiscali e i corruttori, il malaffare. "Sono questi i temi principali per cui le organizzazioni sindacali hanno indetto lo sciopero", sottolinea Antonio Buonocore, segretario della Uilpa Giustizia di Salerno. "Sono anni - aggiunge - che tentano di far passare la pubblica amministrazione come mela marcia dello Stato, ma è ormai sotto gli occhi di tutti di chi siano le colpe". "In piazza Esedra a Roma - conclude - ci saranno oltre mille dipendenti pubblici salernitani per protestare contro questo governo. L'ennesimo atto scellerato è stato quello relativo alla soppressione degli uffici giudiziari del distretto: è servito solo a diminuire la legalità sul territorio".

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Roma. "La crisi ambientale non può essere distinta e separata dalla crisi energetica e dalla crisi economica. L'incremento della qualità della vita richiede, ovviamente, un incremento di sviluppo ed in particolare di energia disponibile, proporzionale all'incremento della popolazione. In questo ambito, l'ambientalismo esasperato ha condizionato e condiziona, in modo negativo, la realizzazione di opere utili per la società". Sono alcuni dei passaggi cruciali del Manifesto per la Crescita Sostenibile, elaborato dal Prof. Giuseppe Quartieri, Presidente del Comitato Scientifico dei Circoli dell'Ambiente, che verrà presentato in una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati il 26 settembre alle ore 13. Nel corso della stessa verranno lanciati la mostra multimediale su Enrico Fermi, che si terrà il 29 settembre in occasione dei 111 anni dalla sua nascita, ed il Convegno "Dalla Crisi Economica alla Crisi Ambientale", programmato per il 3 ottobre presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati. "Abbiamo già raccolto centinaia di firme intorno a questo documento, che ovviamente non approfondisce fino al midollo le tematiche scottanti che andremo ad affrontare il 3 ottobre ma ci consente di offrire spunti di riflessione per affrontare le tematiche ambientali da un punto di vista che in Italia è talmente nuovo da apparire quasi eretico, ma che nel resto del Mondo è largamente maggioritario. Abbiamo deciso di inviarlo a tutti i capigruppo dei Partiti attualmente in Parlamento, con la speranza che essi possano metterlo al centro del programma elettorale che presenteranno alle prossime elezioni" ha dichiarato Alfonso Fimiani, Presidente dei Circoli, che continua: "Bisogna superare la visione di una green economy appiattita sulla installazione di pannelli fotovoltaici e pale eoliche: per scacciare la crisi è necessario rilanciare la produttività ed i consumi, consentire alle famiglie ed alle imprese di abbattere i costi fissi, ad esempio riducendo il prezzo dell'energia e costruendo quelle infrastrutture materiali ed immateriali necessarie. Ma il rilancio dell'economia non può prescindere dalla tutela della salubrità dell'ambiente, della salute e della vita: è tutta l'economy a dover diventare green, non solo quella che i media convenzionalmente ci dicono essere tale". Alla conferenza stampa interverranno il Prof. Giuseppe Quartieri, l'On. Roberto Tortoli, Vice Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, il Sen. Andrea Fluttero, Segretario della Commissione Ambiente al Senato, Alfonso Fimiani ed Iris Pellegrini, Vice Presidente dei Circoli.

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Il 16 Settembre del 1982, intorno alle 5 di sera, cominciava nei campi profughi palestinesi di Beirut, in Libano, una delle più infamanti, e dimenticate, stragi che la storia umana possa annoverare. Tutto comincia agli inizi di Giugno, quando Israele invade, per la seconda volta dopo quattro anni, il Libano nell'ambito dell'operazione "Pace in Galilea". Il Libano è preda di una guerra civile in atto dal 1975 e non ha una guida politica accentrata ed accentratrice: elementi che allarmano Israele, monopolizzatore della "questione-sicurezza" in tutto il Medio-Oriente. Ma a preoccupare maggiormente il paese è il forte radicamento a Beirut dell'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) allora guidato da Yasser Arafat che, nel marasma caotico della guerra intestina, costituisce la compagine politica più solida ed omogenea. Sin dal 7 Giugno l'esercito israeliano bombarda col fosforo il campo profughi di Burj el Chemali, dove avevano trovato rifugio donne e bambini: saranno già 97 le vittime di questo primo assalto. Dopo pochi giorni la capitale libanese viene cinta letteralmente d'assedio, nonostante i richiami e le pretese di "cessate il fuoco" da parte delle Nazioni Unite. Soltanto alla fine di Luglio l'Olp accetta di evacuare i combattenti palestinesi presenti a Beirut, estradandoli in Tunisia, mentre alla metà di Agosto una Forza Multinazionale viene distaccata in Libano, allo scopo di monitorare la situazione durante il ritiro delle 15.000 unità, tra miliziani e autorità politiche palestinesi. Allo stesso tempo, viene sancito il "cessate il fuoco", anche attraverso una mediazione degli Usa. Negli stessi giorni, Bashyr Gemayel, leader dei falangisti locali vicini agli israeliani, viene eletto Presidente della Repubblica libanese, durante una seduta del Parlamento completamente circondato dai soldati dell'eserito israeliano. E, tra i primi atti di Gemayel, vi è quello di accumulare camion, tank e bulldozer nei campi profughi di Sabra e Chatila per raderli al suolo. Il 14 Settembre, tuttavia, Gemayel viene ucciso da una carica di tritolo nascosta all'esterno del quartier generale Falangista in un attentato che poi si scoprirà essere stato ordito dai servizi segreti siriani. E' la goccia che fa traboccare il vaso, anzi l'occasione perfetta, per Israele, per fare carne da macello della popolazione palestinese ancora residente a Beirut. Il 15 Settembre le forze armate di Tsahal entrano a Beirut Ovest, violando palesemente il negoziato di pace, per setacciare ogni angolo alla ricerca dei professionisti palestinese estranei ai combattimenti: ne saranno assassinati 63. Il giorno successivo, nel pomeriggio, comincia la mattanza dei campi di Sabra e Chatila, ad opera dei miliziani cristiano-falangisti coadiuvati, come poi accerteranno diverse inchieste, dagli israeliani dislocati a Beirut Ovest. L'operazione terminò soltanto due giorni dopo, provocando tra le 700 e le 800 vittime civili, consumandosi nell'indifferenza generale e, spesso, complice di Usa e Nazioni Unite (emblematica l'apertura di una sola inchiesta ufficiale sui fatti). La risoluzione Onu A/RES/37/123 del Dicembre 1982 configurò l'assalto ai campi come un "vero e proprio atto di genocidio", compiuto "sotto la personale responsabilità di Ariel Sharon" (allora Ministro della Difesa di Israele).

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Stretta sui videopoker, che non devono trovarsi nei pressi di scuole, ospedali e luoghi di culto e maximulte in arrivo per chi vende sigarette e altri prodotti del tabacco ai minorenni. Queste alcune delle novità inserite nella bozza del decreto legge messo a punto dal ministro della Salute Renato Balduzzi, che dovrebbe essere esaminato nel Consiglio dei ministri di venerdì prossimo. Multe salate per i tabaccai che non rispettano le regole, che vanno da 250 a mille euro la prima volta e, se il fatto persiste, da 500 a 2mila euro con la sospensione per tre mesi dell'attività. Oltre al tabacco, Balduzzi mette a punto una stretta anche per i videopoker che non potranno essere installati in un raggio di 500 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in campo sanitario o socio assistenziale, luoghi di culto. Sembra invece confermata una tassa sulle bibite analcoliche e sui superalcolici con zuccheri aggiunti e con edulcoranti, a carico dei produttori di bevande. Dietrofront invece sulla norma che obbligava a una certificazione medica specialistica, rilasciata da un medico sportivo, per iscriversi a palestre o piscine e per cui non sarebbe bastato più il certificato di sana e robusta costituzione del medico di famiglia. Letteralmente in pensione il vecchio medico di base. Per continuare ad operare dovrà consorziarsi creando un pool di almeno 5 colleghi in modo da poter garantire assistenza 24 ore su 24. Si punta a una riduzione del traffico nei pronto soccorso del 15% ma soprattutto, dicono i collaboratori del ministro, a offrire più servizi ai pazienti in fatto di diagnostica e visite specialistiche.

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La privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali è incostituzionale. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, con sentenza 199/2012, cancellando così le norme approvate dagli esecutivi di Berlusconi prima e Monti poi. La Consulta, in particolare, ha dichiarato incostituzionale l' ’articolo 4 del decreto legge 138 del 13 Agosto 2011 (convertito nella Legge 148/2011) che aggirava il risultato dei referendum contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali reintroducendo le norme abrogate (art. 23 bis del Decreto Ronchi). La bocciatura non riguarda solo le leggi emanate dal morente Governo Berlusconi ma anche tutte le successive modifiche - peggiorative - del Governo Monti, che avevano di fatto reso impossibile la gestione diretta delle società pubbliche, forzando così la cessione a privati delle società in house e delle società partecipate a capitale pubblico.
Questa sentenza è una buona notizia: ripristina in primis il risultato referendario voluto da 27 milioni di italiani, e mette poi un freno alla privatizzazione forzata e alla svendita dei servizi pubblici locali e dei beni comuni (dai rifiuti ai trasporti, dall'acqua all'energia) voluta da Berlusconi ed ulteriormente incentivata dal Governo Monti (dal decreto legge 1/2012, art. 53 Dl 83/2012 anche con l'attuale "spending review"). Una buona notizia anche per le decine di migliaia di lavoratori delle società pubbliche e in house che vedono, con la svendita delle loro aziende, i loro posti di lavoro e i loro diritti a rischio; una buona notizia per i cittadini per un servizio pubblico che deve essere di qualità e senza profitti privati. Rimangono però in vigore le norme europee che prevedono diverse forme di gestione: in house, miste, o la società per azioni private. Restano intatte inoltre diverse normative "privatizzanti" di settore, gli incentivi agli enti locali per procedere alla svendita delle società (nel Patto di stabilità vi sono premialità nei trasferimenti statali agli enti locali per favorire le dismissioni) e vari vincoli per la gestione diretta delle società (limiti per le assunzioni).
La pronuncia della Corte Costituzionale, a detta della USB Salerno, deve essere motivo di rilancio delle mobilitazioni contro le politiche di privatizzazione portate avanti non solo dal governo nazionale ma, con convinzione, anche dalle amministrazioni locali di centro destra e di centro sinistra. Ora, non potendosi più nascondere dietro l ’'obbligatorietà dettata della legge nazionale, i governi locali devono azzerare i processi di svendita e di privatizzazione delle aziende pubbliche e in house rispettando il diritto dei cittadini ai beni comuni.
Questa sentenza è una buona notizia: ripristina in primis il risultato referendario voluto da 27 milioni di italiani, e mette poi un freno alla privatizzazione forzata e alla svendita dei servizi pubblici locali e dei beni comuni (dai rifiuti ai trasporti, dall'acqua all'energia) voluta da Berlusconi ed ulteriormente incentivata dal Governo Monti (dal decreto legge 1/2012, art. 53 Dl 83/2012 anche con l'attuale "spending review"). Una buona notizia anche per le decine di migliaia di lavoratori delle società pubbliche e in house che vedono, con la svendita delle loro aziende, i loro posti di lavoro e i loro diritti a rischio; una buona notizia per i cittadini per un servizio pubblico che deve essere di qualità e senza profitti privati. Rimangono però in vigore le norme europee che prevedono diverse forme di gestione: in house, miste, o la società per azioni private. Restano intatte inoltre diverse normative "privatizzanti" di settore, gli incentivi agli enti locali per procedere alla svendita delle società (nel Patto di stabilità vi sono premialità nei trasferimenti statali agli enti locali per favorire le dismissioni) e vari vincoli per la gestione diretta delle società (limiti per le assunzioni).
La pronuncia della Corte Costituzionale, a detta della USB Salerno, deve essere motivo di rilancio delle mobilitazioni contro le politiche di privatizzazione portate avanti non solo dal governo nazionale ma, con convinzione, anche dalle amministrazioni locali di centro destra e di centro sinistra. Ora, non potendosi più nascondere dietro l ’'obbligatorietà dettata della legge nazionale, i governi locali devono azzerare i processi di svendita e di privatizzazione delle aziende pubbliche e in house rispettando il diritto dei cittadini ai beni comuni.

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Salerno. Le organizzazioni sindacali USB, CUB, Cib-Unicobas, Snater, USI e SI-Cobas indicono uno sciopero generale di 24 ore di tutti i lavoratori del settore pubblico e delle aziende private per il venerdì 22 giugno 2012. Nella stessa giornata, due manifestazioni centrali si svolgeranno a Roma e a Milano. Lo sciopero è indetto: contro l'attacco alle condizioni e al diritto del lavoro, contro l'aumento della precarietà e contro la possibilità di licenziare senza giusta causa introdotta attraverso la modifica dell'articolo 18; contro l'aumento delle tasse, contro l'IMU e l'aumento dell'IVA; contro l'attacco alla pensione e al diritto alla salute e alla sicurezza sui posti di lavoro; contro le politiche economiche e sociali del governo Monti e il ricatto del debito operato dalle banche e dall'Unione Europea. Lo sciopero, precedentemente proclamato l'8 giugno, è stato rinviato al 22 giugno a causa della grave situazione determinata dal sisma in Emilia Romagna. Per evitare ulteriori disagi alla popolazione, quest'ultima regione non prenderà comunque parte all'azione di sciopero del 22. Dallo sciopero è inoltre esclusa la Scuola, per il termine delle lezioni e lo svolgimento degli esami. Confermate invece le manifestazioni già indette in tutta Italia per l' 8 giugno e 9 giugno, fra cui il presidio di venerdì 8 a Roma, alle ore 16.00 in piazza di Montecitorio, ed il presidio a sorpresa di Sabato 9 a Milano.

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E insomma, tanto tuonò che piovve si direbbe. Elsa Fornero, una che non perde mai il vizio di esternare tutta la docilità padronale di cui è in possesso, ci è ricascata, anzi ha ancora una volta esasperato un sentimento comune a molti italiani, troppo sensibili al richiamo del facile ammonimento. E lo ha fatto con un argomento di facile presa: i dipendenti pubblici. I lavoratori pubblici, questi cattivi. Nessuno li ama, tutti li evitano: e piovono gli attacchi, da destra e manca, da carta e web, a questa "casta" (?) sprecona ed inefficiente.
"Quello dei dipendenti pubblici non è un mercato, perchè ci sono regole diverse" - afferma il ministro, - "Mi auguro però che qualcosa di simile a quello fatto per i dipendenti privati, relativamente alla possibilità di licenziare, sia inserito nella delega anche per i dipendenti pubblici". Dunque, un passo deciso verso la liberalizzazione dei licenziamenti nel pubblico impiego. Il motivo? Abbattimento dei costi ed avvicinamento progressivo col settore privato.
Ora bisognerebbe sottolineare, in primo luogo, che la nostra PA non è nemmeno tra le più onerose: il risparmio maggiore infatti, in quest'Europa tartassata dalla moneta unica, è dato soprattutto dalla forma di governo. Ad assicurare la massima efficienza sono infatti i paesi federali (ad esempio, la Germania su tutti, ma anche i cugini d'Austria), laddove gli enti locali hanno a disposizione anche un numero maggiore di risorse in conseguenza di un minore carico tributario. Regola, poi, suscettibile di deroghe, visto che anche la Spagna, con le sue Comunidad autonome, spende più dell'Italia nell'impiego pubblico.
In secondo luogo, quale assurda ragione di politica economica può mai imporre anche solo idealmente un avvicinamento tra il pubblico impiego e quello privato? Lo so, questo capitalismo sfrenato ed affamante mi direte, ed è vero. Ma è altrettanto palese la "longa manus" di questi pericolosi figuri sulle funzioni pubbliche, e soprattutto sulla volontà di privatizzarle. Già Brunetta aveva esasperato quella strategia comunicativa, tipica della destra conservatrice, che colpevolizza invariabilmente il cittadino. I lavoratori pubblici sono fannulloni, gli sportellisti inaffidabili, persino i responsabili della sicurezza panzoni e impresentabili, e via così tutto filato in una caricatura continua di ogni Fantozzi italiano. Imponendo addirittura il telelavoro per i malati con "patologie gravi che richiedono terapie salvavita anche di lunga durata", con una circolare del 2009. Certo, il discorso sulla "casta", questa maledetta "casta", che sembra essere il prezzemolo di ogni minestra, buona per ogni stagione.
Forse ci si dimentica che tutte le spese che sosteniamo per l'amministrazione pubblica servono a finanziare la didattica, la sanità (che per fortuna è ancora pubblica), i servizi ai cittadini, il trasporto, per quanto manchevoli o carenti essi possano essere. Il punto non è sugli sprechi, ma sull'ideologia che si vuole imporre su certi meccanismi funzionali di questo paese. Riuscite davvero ad immaginare che, se davvero si liberalizzasse la disciplina dei licenziamenti pubblici, questi signori avrebbero carta bianca per fare scempio di qualsiasi simulacro di carattere collettivistico? Ve l'immaginate l'università in mano a questi alfieri del "privato", che dal dopoguerra ad oggi non hanno investito un solo centesimo nella macchina statuale, pretendendo financo di essere "salvati" quando si sono trovati con l'acqua alla gola?
Mi preme un'ultima riflessione, su un argomento che trovo al contempo grottesco, curioso ed eticamente schifoso. Fateci caso, chi è che strombazza, a man bassa, degli sprechi di questa "casta" degli amministratori pubblici, dei lavoratori statali? Molto spesso giornali di grido, prodotti cartacei di gruppi editoriali sterminatamente ricchi. Cui, evidentemente, non bastano i miliardi dei loro patroni. Fateci caso: mentre vi "illuminano" scientemente sugli sprechi della casta, nel trafiletto accanto si lamentano dell'azzeramento dei contributi pubblici all'editoria. E chiedono, questa volta molto riverentemente, la loro mancetta. Guai a chiamarli sprechi! Servono a finanziare l'ennesimo scoop su Belen, o recensioni infinite grondanti plausi per libri che nessuno dovrebbe leggere, o l'ennesima crociata contro i lavoratori pubblici. E per uno scherzo crudele, saranno proprio i soldi di questi lavoratori che la finanzieranno, magari scovati dall'ennesimo taglio ai loro stipendi: finiti altrove chissà per chi, chissà perchè.
"Quello dei dipendenti pubblici non è un mercato, perchè ci sono regole diverse" - afferma il ministro, - "Mi auguro però che qualcosa di simile a quello fatto per i dipendenti privati, relativamente alla possibilità di licenziare, sia inserito nella delega anche per i dipendenti pubblici". Dunque, un passo deciso verso la liberalizzazione dei licenziamenti nel pubblico impiego. Il motivo? Abbattimento dei costi ed avvicinamento progressivo col settore privato.
Ora bisognerebbe sottolineare, in primo luogo, che la nostra PA non è nemmeno tra le più onerose: il risparmio maggiore infatti, in quest'Europa tartassata dalla moneta unica, è dato soprattutto dalla forma di governo. Ad assicurare la massima efficienza sono infatti i paesi federali (ad esempio, la Germania su tutti, ma anche i cugini d'Austria), laddove gli enti locali hanno a disposizione anche un numero maggiore di risorse in conseguenza di un minore carico tributario. Regola, poi, suscettibile di deroghe, visto che anche la Spagna, con le sue Comunidad autonome, spende più dell'Italia nell'impiego pubblico.
In secondo luogo, quale assurda ragione di politica economica può mai imporre anche solo idealmente un avvicinamento tra il pubblico impiego e quello privato? Lo so, questo capitalismo sfrenato ed affamante mi direte, ed è vero. Ma è altrettanto palese la "longa manus" di questi pericolosi figuri sulle funzioni pubbliche, e soprattutto sulla volontà di privatizzarle. Già Brunetta aveva esasperato quella strategia comunicativa, tipica della destra conservatrice, che colpevolizza invariabilmente il cittadino. I lavoratori pubblici sono fannulloni, gli sportellisti inaffidabili, persino i responsabili della sicurezza panzoni e impresentabili, e via così tutto filato in una caricatura continua di ogni Fantozzi italiano. Imponendo addirittura il telelavoro per i malati con "patologie gravi che richiedono terapie salvavita anche di lunga durata", con una circolare del 2009. Certo, il discorso sulla "casta", questa maledetta "casta", che sembra essere il prezzemolo di ogni minestra, buona per ogni stagione.
Forse ci si dimentica che tutte le spese che sosteniamo per l'amministrazione pubblica servono a finanziare la didattica, la sanità (che per fortuna è ancora pubblica), i servizi ai cittadini, il trasporto, per quanto manchevoli o carenti essi possano essere. Il punto non è sugli sprechi, ma sull'ideologia che si vuole imporre su certi meccanismi funzionali di questo paese. Riuscite davvero ad immaginare che, se davvero si liberalizzasse la disciplina dei licenziamenti pubblici, questi signori avrebbero carta bianca per fare scempio di qualsiasi simulacro di carattere collettivistico? Ve l'immaginate l'università in mano a questi alfieri del "privato", che dal dopoguerra ad oggi non hanno investito un solo centesimo nella macchina statuale, pretendendo financo di essere "salvati" quando si sono trovati con l'acqua alla gola?
Mi preme un'ultima riflessione, su un argomento che trovo al contempo grottesco, curioso ed eticamente schifoso. Fateci caso, chi è che strombazza, a man bassa, degli sprechi di questa "casta" degli amministratori pubblici, dei lavoratori statali? Molto spesso giornali di grido, prodotti cartacei di gruppi editoriali sterminatamente ricchi. Cui, evidentemente, non bastano i miliardi dei loro patroni. Fateci caso: mentre vi "illuminano" scientemente sugli sprechi della casta, nel trafiletto accanto si lamentano dell'azzeramento dei contributi pubblici all'editoria. E chiedono, questa volta molto riverentemente, la loro mancetta. Guai a chiamarli sprechi! Servono a finanziare l'ennesimo scoop su Belen, o recensioni infinite grondanti plausi per libri che nessuno dovrebbe leggere, o l'ennesima crociata contro i lavoratori pubblici. E per uno scherzo crudele, saranno proprio i soldi di questi lavoratori che la finanzieranno, magari scovati dall'ennesimo taglio ai loro stipendi: finiti altrove chissà per chi, chissà perchè.