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C'è una data particolare da appuntare sui block-notes politici e sociali, o da cerchiare sul calendario con un pennarello rosso, una scadenza prossima ed importante: parliamo di Domenica 6 Maggio, e non solo perché è la prima Domenica del mese di Maggio. Sarà una Domenica particolare perché andranno alle urne diversi aventi diritto in Europa, in particolar modo in 3 paesi ove essi saranno chiamati a decidere la guida politica dello Stato nel prossimo quinquennio: stiamo parlando di Francia, Grecia e Serbia.
In Francia si deciderà il ballottaggio tra il Presidente uscente Nicolàs Sarkozy e la "rivelazione" della prima tornata Francois Hollande, leader dei socialisti. La vigilia del voto è stata scandita da guerriglie verbali tra gli avversari e da duelli a colpi d'inchiostro tra i principali quotidiani francesi e non, con l'Economist che ha addirittura definito Hollande come "un uomo pericoloso" per il suo paese. Al di là delle schermaglie dialettiche, appare discutibile che l'esito del voto possa alterare la posizione di forza e le scelte strategiche francesi nell'ambito dell'Eurozona. Sia Sarkozy che Hollande sono infatti d'accordissimo su temi di rilievo quali le politiche antimigratorie e l'obbedienza ai dogmi del neoliberismo europeo. Di recente Erik Izraelewicz, direttore del prestigioso quotidiano "Le Monde", ha sottolineato come i candidati abbiano furbescamente bypassato, in sede di campagna elettorale, tre temi cruciali: il lavoro, l'Europa e le politiche ambientali. Terreni, non a caso, sui quali si giocherà la longevità politica del vincitore, nonché il peso e la consistenza della Francia in Europa, dove, con Sarkozy, il paese transalpino ha svolto più il ruolo di vassallo della Germania che non quello di co-guida insieme al paese teutonico. Non è, dunque, un caso che Hollande riscuota simpatie anche da parte dei moderati francesi ed europei in genere; ed è altrettanto certo, pertanto, che da una sua eventuale (ed assai probabile) vittoria non debbano aspettarsi clamorose svolte a sinistra, in senso radicale.
Al voto corre anche la Grecia martoriata dal debito e dal sanguinolento piano di rientro dettato, ed imposto manu militari, dall'Europa. Se, da un lato, l'affluenza alle urne dovrebbe essere tra le più bassi di sempre nel paese ellenico, dall'altro la legge elettorale congegnata consentirà, proprio per questo motivo, la formazione di un governo di coalizione tra le maggiori forze politiche del paese, i conservatori di ND (Nuova Democrazia) ed i socialisti di Pasok, sebbene questi ultimi siano usciti con le ossa rotte dall'ultimo triennio, abbiano grosse responsabilità nella crisi e siano in calo continuo negli stessi sondaggi. Non stupisce, a tal proposito, la crescita esponenziale di consensi per partiti parafascisti quali Crisi Avgi (Alba d'Oro), che punta ad ottenere il suo primo seggio in Parlamento. Più defilato il KKE, il Partito Comunista, terza forza politica nell'attuale Parlamento, e fiero oppositore dei tagli al welfare, delle politiche antisociali e della permanenza nell'UE. Che ne sarà della Grecia dopo queste elezioni? Un dato va sottolineato: l'addio all'Euro ed il ritorno alla vecchia Dracma appaiono prospettive assai plausibili. Se ci si aggiunge l'allentamento del legame all'UE e il rientro (davvero reale?) nell'orbita della Russia, a cui guardano le forze di opposizione, il disegno è presto compiuto. Ma quest'ultima ipotesi appare remota: la Grecia, portata delittuosamente "per mano" ad un fallimento evitabile, spolpata e svenduta sino al midollo, corrotta nelle sue istituzioni e negli incarichi pubblici, dovrà ripartire dalle proprie macerie, al di là di qualsiasi dato politico. Non c'è voto che tenga.
Chi in Europa anela ad entrarci è la Serbia del premier uscente Boris Tadic, candidato al suo terzo mandato col DS (Partito Democratico). Fiero portabandiera dell'adesione, ha puntato in campagna elettorale proprio su questo slancio filoeuropeo e sulla necessità demagogica di risolvere la questione del Kosovo. Suo principale avversario sarà, almeno sulla carta, Tomislav Nikolic del SNS (Partito Progressista Serbo), le cui linee guida non si distaccano più di tanto da quelle dell'avversario. Anche in questo caso, dunque, l'avversario da sconfiggere sarà la disaffezione dei cittadini, a fronte di programmi elettorali che non sembrano tenere conto della gravità delle problematiche sociali.
(vignetta di Patrick Chappatte - The International Herald Tribune, 22/04/12)
In Francia si deciderà il ballottaggio tra il Presidente uscente Nicolàs Sarkozy e la "rivelazione" della prima tornata Francois Hollande, leader dei socialisti. La vigilia del voto è stata scandita da guerriglie verbali tra gli avversari e da duelli a colpi d'inchiostro tra i principali quotidiani francesi e non, con l'Economist che ha addirittura definito Hollande come "un uomo pericoloso" per il suo paese. Al di là delle schermaglie dialettiche, appare discutibile che l'esito del voto possa alterare la posizione di forza e le scelte strategiche francesi nell'ambito dell'Eurozona. Sia Sarkozy che Hollande sono infatti d'accordissimo su temi di rilievo quali le politiche antimigratorie e l'obbedienza ai dogmi del neoliberismo europeo. Di recente Erik Izraelewicz, direttore del prestigioso quotidiano "Le Monde", ha sottolineato come i candidati abbiano furbescamente bypassato, in sede di campagna elettorale, tre temi cruciali: il lavoro, l'Europa e le politiche ambientali. Terreni, non a caso, sui quali si giocherà la longevità politica del vincitore, nonché il peso e la consistenza della Francia in Europa, dove, con Sarkozy, il paese transalpino ha svolto più il ruolo di vassallo della Germania che non quello di co-guida insieme al paese teutonico. Non è, dunque, un caso che Hollande riscuota simpatie anche da parte dei moderati francesi ed europei in genere; ed è altrettanto certo, pertanto, che da una sua eventuale (ed assai probabile) vittoria non debbano aspettarsi clamorose svolte a sinistra, in senso radicale.
Al voto corre anche la Grecia martoriata dal debito e dal sanguinolento piano di rientro dettato, ed imposto manu militari, dall'Europa. Se, da un lato, l'affluenza alle urne dovrebbe essere tra le più bassi di sempre nel paese ellenico, dall'altro la legge elettorale congegnata consentirà, proprio per questo motivo, la formazione di un governo di coalizione tra le maggiori forze politiche del paese, i conservatori di ND (Nuova Democrazia) ed i socialisti di Pasok, sebbene questi ultimi siano usciti con le ossa rotte dall'ultimo triennio, abbiano grosse responsabilità nella crisi e siano in calo continuo negli stessi sondaggi. Non stupisce, a tal proposito, la crescita esponenziale di consensi per partiti parafascisti quali Crisi Avgi (Alba d'Oro), che punta ad ottenere il suo primo seggio in Parlamento. Più defilato il KKE, il Partito Comunista, terza forza politica nell'attuale Parlamento, e fiero oppositore dei tagli al welfare, delle politiche antisociali e della permanenza nell'UE. Che ne sarà della Grecia dopo queste elezioni? Un dato va sottolineato: l'addio all'Euro ed il ritorno alla vecchia Dracma appaiono prospettive assai plausibili. Se ci si aggiunge l'allentamento del legame all'UE e il rientro (davvero reale?) nell'orbita della Russia, a cui guardano le forze di opposizione, il disegno è presto compiuto. Ma quest'ultima ipotesi appare remota: la Grecia, portata delittuosamente "per mano" ad un fallimento evitabile, spolpata e svenduta sino al midollo, corrotta nelle sue istituzioni e negli incarichi pubblici, dovrà ripartire dalle proprie macerie, al di là di qualsiasi dato politico. Non c'è voto che tenga.
Chi in Europa anela ad entrarci è la Serbia del premier uscente Boris Tadic, candidato al suo terzo mandato col DS (Partito Democratico). Fiero portabandiera dell'adesione, ha puntato in campagna elettorale proprio su questo slancio filoeuropeo e sulla necessità demagogica di risolvere la questione del Kosovo. Suo principale avversario sarà, almeno sulla carta, Tomislav Nikolic del SNS (Partito Progressista Serbo), le cui linee guida non si distaccano più di tanto da quelle dell'avversario. Anche in questo caso, dunque, l'avversario da sconfiggere sarà la disaffezione dei cittadini, a fronte di programmi elettorali che non sembrano tenere conto della gravità delle problematiche sociali.
(vignetta di Patrick Chappatte - The International Herald Tribune, 22/04/12)

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Il contestatissimo ddl sulla riforma del mercato del lavoro è ormai pronto: a darne l'annuncio il Ministro Fornero, che tuttavia sottolinea come ci siano ancora numerosi spunti sui quali bisogna riflettere. Un provvedimento sul quale abbiamo già avuto modo di soffermarci, e nei cui confronti alcuni sindacati, a cominciare da Fiom, hanno già annunciato battaglia. Sul testo la solita, immancabile Commissione Europea ha già avuto modo di intervenire, invitando le forze politiche a non inquinare la natura della riforma. Un'ingerenza di chiara matrice politica, che tuttavia si manifesta anche, e non a caso vogliamo sottolineare, in altri paesi dell'Eurozona.
In Spagna il governo conservatore di Mariano Rajoy, al timone da poco più di 100 giorni, ha già avuto modo di mettere mano a tre riforme di stampo economico: mercato del lavoro, finanziaria e stabilità di bilancio. Tutti e tre gli interventi, inutile sottolinearlo, sono all'insegna dei rigidissimi parametri imposti da Bruxelles, che hanno stretto la Spagna in una morsa che, per il momento, sembra potenzialmente letale. Nel paese iberico la disoccupazione ha raggiunto livelli record, con 4,7 milioni di persone che non hanno un impiego. Particolarmente critici i numeri della disoccupazione giovanile, che è passata dal 20% del 2005 al 50% attuale, il doppio rispetto alla media europea (poco più del 22%). E la riforma del lavoro varata dal governo non sembra essere la ricetta adatta per correggere il tiro: ammettendo un'impotenza già constatata in passato, essa tende ad abbassare i salari, soprattutto quelli giovanili, per economizzare le loro prestazioni d'opera. Lo scorso 29 Marzo le forze sindacali (Ugt e CC.OO.) si sono mobilitate nelle principali città, proclamando l'ottavo sciopero generale dopo la transizione democratica. Ma l'esecutivo, in prostrante ossequio alle direttive europee, sta varando una legge di bilancio che dovrebbe tagliare circa 27 miliardi di euro. I settori più colpiti? Naturalmente gli investimenti in infrastrutture, nei programmi scientifici e di ricerca (-34%) ed i sussidi di disoccupazione (-6%).
In Portogallo invece, la bolla della crisi è esplosa già da tempo, ma ha finito per essere offuscata dall'attenzione mediatica riservata alla debacle della Grecia. L'esecutivo portoghese ha adottato un piano di austerity nel settore giuslavoristico che taglia, al solito, orario di lavoro e salario fisso (compreso quello minimo) ed incrementa la tassazione. Il tutto per evitare di finire come la Grecia, e in ogni caso per non discostarsi dalle pretese spasmodiche del "vicino di Bruxelles", che già ha fatto cadere il paese lusitano nella tentazione, macabra ed usuraia, del piano di salvataggio. E tuttavia, quella che si sta vivendo in Portogallo è stata una fervida stagione di mobilitazioni e proteste, soprattutto giovanili e studentesche, contro l'austerity imposta dalla coalizione di governo (dietro ordine degli organismi comunitari), la prima dalla Rivoluzione dei Garofani; e la cui spinta sembrava essersi esaurita in un languore rassegnatorio assai poco rassicurante, come dimostra il picco raggiunto dall'emigrazione (150.000 persone nel 2011, non accadeva dai tempi di Salazar).
Se la penisola iberica arranca faticosamente per venire incontro alle sue scadenze perentorie, non meglio se la passa l'Irlanda. La bolla immobiliare esplosa a causa della crisi nel 2008 ha determinato l'abbandono delle case di proprietà della banca governativa, Nama. Case che ora vengono occupate, per protesta, da attivisti in polemica con la politica finanziaria del paese e logorati dalla recessione (e collegati al movimento "Occupy Ireland"). E nel frattempo il paese, primo in Europa, promuove sotto la spinta popolare un referendum sul Fiscal Compact, il Patto di Stabilità fiscale dell'UE. Il tutto avverrà sotto lo scacco ricattatorio del circuito banchieristico legato alla BCE, dal quale già fanno sapere: che vinca il si, altrimenti il paese può rinunciare a qualsiasi tipo di aiuto. Che il termine cooperazione vada interpretato in senso lato?
Ciò che sta accadendo in Grecia è fin troppo noto. Nel paese ellenico, che poteva essere salvato subito con meno di 30 miliardi, l'economia va a picco e il debito deve essere onorato a colpi di macelleria sociale. Il Pil è crollato del 12% ed il debito complessivo è schizzato al 165%. Le elezioni ormai prossime vedono in rapida ascesa i partiti di sinistra, con il Pame in prima fila. Anche in paesi apparentemente in crescita, come la Polonia, la politica economica dell'esecutivo non sembra seguire strade diverse. Il governo polacco ha infatti varato una riforma delle pensioni che aumenta di due anni (da 65 a 67) l'età per ricevere il trattamento pensionistico completo. Nulla osta per andare in pensione in anticipo rispetto al nuovo termine: ma chi lo fa deve accontentarsi di un trattamento previdenziale sensibilmente ridotto. Per le donne che smettono di lavorare a 62 anni è previsto un taglio del 50% alla pensione di lavoro.
Nel frattempo la Serbia entra a pieno titolo tra i paesi candidati all'ingresso nell'UE. "Un momento epocale. L'adesione sarà un obiettivo soltanto formale, giacchè il vero scopo è una vita migliore per tutti i cittadini": parole e musica del premier serbo Boris Tadic.
Può l'Europa garantire un futuro migliore ai cittadini serbi? Permetteteci di dubitarne. Per informazioni, rivolgersi all'area mediterranea del continente.
(la foto di copertina è di Raymond Burki, da "24 Heures" del 30 Marzo)
In Spagna il governo conservatore di Mariano Rajoy, al timone da poco più di 100 giorni, ha già avuto modo di mettere mano a tre riforme di stampo economico: mercato del lavoro, finanziaria e stabilità di bilancio. Tutti e tre gli interventi, inutile sottolinearlo, sono all'insegna dei rigidissimi parametri imposti da Bruxelles, che hanno stretto la Spagna in una morsa che, per il momento, sembra potenzialmente letale. Nel paese iberico la disoccupazione ha raggiunto livelli record, con 4,7 milioni di persone che non hanno un impiego. Particolarmente critici i numeri della disoccupazione giovanile, che è passata dal 20% del 2005 al 50% attuale, il doppio rispetto alla media europea (poco più del 22%). E la riforma del lavoro varata dal governo non sembra essere la ricetta adatta per correggere il tiro: ammettendo un'impotenza già constatata in passato, essa tende ad abbassare i salari, soprattutto quelli giovanili, per economizzare le loro prestazioni d'opera. Lo scorso 29 Marzo le forze sindacali (Ugt e CC.OO.) si sono mobilitate nelle principali città, proclamando l'ottavo sciopero generale dopo la transizione democratica. Ma l'esecutivo, in prostrante ossequio alle direttive europee, sta varando una legge di bilancio che dovrebbe tagliare circa 27 miliardi di euro. I settori più colpiti? Naturalmente gli investimenti in infrastrutture, nei programmi scientifici e di ricerca (-34%) ed i sussidi di disoccupazione (-6%).
In Portogallo invece, la bolla della crisi è esplosa già da tempo, ma ha finito per essere offuscata dall'attenzione mediatica riservata alla debacle della Grecia. L'esecutivo portoghese ha adottato un piano di austerity nel settore giuslavoristico che taglia, al solito, orario di lavoro e salario fisso (compreso quello minimo) ed incrementa la tassazione. Il tutto per evitare di finire come la Grecia, e in ogni caso per non discostarsi dalle pretese spasmodiche del "vicino di Bruxelles", che già ha fatto cadere il paese lusitano nella tentazione, macabra ed usuraia, del piano di salvataggio. E tuttavia, quella che si sta vivendo in Portogallo è stata una fervida stagione di mobilitazioni e proteste, soprattutto giovanili e studentesche, contro l'austerity imposta dalla coalizione di governo (dietro ordine degli organismi comunitari), la prima dalla Rivoluzione dei Garofani; e la cui spinta sembrava essersi esaurita in un languore rassegnatorio assai poco rassicurante, come dimostra il picco raggiunto dall'emigrazione (150.000 persone nel 2011, non accadeva dai tempi di Salazar).
Se la penisola iberica arranca faticosamente per venire incontro alle sue scadenze perentorie, non meglio se la passa l'Irlanda. La bolla immobiliare esplosa a causa della crisi nel 2008 ha determinato l'abbandono delle case di proprietà della banca governativa, Nama. Case che ora vengono occupate, per protesta, da attivisti in polemica con la politica finanziaria del paese e logorati dalla recessione (e collegati al movimento "Occupy Ireland"). E nel frattempo il paese, primo in Europa, promuove sotto la spinta popolare un referendum sul Fiscal Compact, il Patto di Stabilità fiscale dell'UE. Il tutto avverrà sotto lo scacco ricattatorio del circuito banchieristico legato alla BCE, dal quale già fanno sapere: che vinca il si, altrimenti il paese può rinunciare a qualsiasi tipo di aiuto. Che il termine cooperazione vada interpretato in senso lato?
Ciò che sta accadendo in Grecia è fin troppo noto. Nel paese ellenico, che poteva essere salvato subito con meno di 30 miliardi, l'economia va a picco e il debito deve essere onorato a colpi di macelleria sociale. Il Pil è crollato del 12% ed il debito complessivo è schizzato al 165%. Le elezioni ormai prossime vedono in rapida ascesa i partiti di sinistra, con il Pame in prima fila. Anche in paesi apparentemente in crescita, come la Polonia, la politica economica dell'esecutivo non sembra seguire strade diverse. Il governo polacco ha infatti varato una riforma delle pensioni che aumenta di due anni (da 65 a 67) l'età per ricevere il trattamento pensionistico completo. Nulla osta per andare in pensione in anticipo rispetto al nuovo termine: ma chi lo fa deve accontentarsi di un trattamento previdenziale sensibilmente ridotto. Per le donne che smettono di lavorare a 62 anni è previsto un taglio del 50% alla pensione di lavoro.
Nel frattempo la Serbia entra a pieno titolo tra i paesi candidati all'ingresso nell'UE. "Un momento epocale. L'adesione sarà un obiettivo soltanto formale, giacchè il vero scopo è una vita migliore per tutti i cittadini": parole e musica del premier serbo Boris Tadic.
Può l'Europa garantire un futuro migliore ai cittadini serbi? Permetteteci di dubitarne. Per informazioni, rivolgersi all'area mediterranea del continente.
(la foto di copertina è di Raymond Burki, da "24 Heures" del 30 Marzo)

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Torna l'ora legale nella notte tra sabato 24 e domenica 25 Marzo: più precisamente, l'addio all'ora solare avverrà alle 2 di notte, quando le lancette dovranno essere portate avanti di un'ora alle 3. Naturalmente le apparecchiature elettroniche modificheranno automaticamente l'ora, mentre noi dovremo occuparci degli apparecchi manuali. Con l'ora legale ci si sveglierà prima di un'ora, dunque, ma comincerà a fare buio più tardi la sera, con conseguente risparmio di energia elettrica a livello aggregato. Per 217 giorni vigerà l'ora legale e torneremo all'orario invernale notte fra sabato 27 ottobre 2012 e domenica 28 ottobre 2012. Si diceva del risparmio di energia elettrica connesso al ritorno dell'ora legale. Interessanti a questo proposito i dati di risparmio calcolati da Terna, il gestore della rete elettrica, e pubblicati sul sito www.terna.it, dove si nota come Aprile sia il mese in cui si consuma di meno.

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Un vero e proprio "mercimonio delle sentenze giudiziarie", e addirittura l'esercizio, rigorosamente a nero, di attività di consulenza fiscale da parte di magistrati tributari per privati cittadini. Questo quanto risulta dalle 1200 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli Alberto Capuano nell'ambito di un'inchiesta sulle attività illecite del clan camorristico Fabbrocino, che ha condotto al fermo di ben 60 persone, tra le quali spicca la presenza di 16 giudici tributari ed un docente universitario. L'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Federio Cafiero de Raho e dai pm Francesco Curcio, Alessandro Milita e Ida Teresi, ha portato alla luce un intreccio scabroso di connivenze e corruzione tra magistratura, imprenditoria e malavita organizzata. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in particolare, alcuni magistrati tributari prestavano attività di consulenza fiscale in nero a favore dei ricorrenti favorendo, grazie alla propria posizione di forza, l'aggiustamento di alcune pronunce giudiziarie in seno alla commissione tributaria. Nell'intreccio, definito "sistematico" dai pm, sono coinvolti esponenti della nota famiglia partenopea di imprenditori Ragosta, il cui capofamiglia, Felice, aveva come consulente finanziario Anna Maria D'Ambrosio, uno dei tre magistrati tributari finiti in manette. Per gli altri tredici, sono stati invece disposti gli arresti domiciliari. Tra i professionisti coinvolti dallo scandalo anche un docente universitario, Enrico Potito, titolare della cattedra di diritto tributario alla Federico II, che, nelle ipotesi degli inquirenti, era tra i redattori delle sentenze poi firmate dai magistrati finiti nell'occhio del ciclone. "Un intreccio" - racconta il pm Pennasilico - "di favori reciproci con danni inestimabili per l'erario", Per la precisione, poco meno di 150 milioni di euro. Grazie ad un lavoro certosino compiuto con l'aiuto di intercettazioni, dichiarazioni di pentiti e rogatorie all'estero tra Svizzera, Lussemburgo e Belgio, gli inquirenti hanno accertato che svariate decine di milioni sarebbero state riciclate con l'interposizione, del tutto fittizia, di società straniere in attività d'impresa. La magistratura ha disposto sequestri per un valore che si aggira attorno al miliardo di euro.

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Dall'1 Gennaio 2012 per effetto della legge n.183/2011, detta "Legge di stabilità", sono state, tra l'altro, dettate nuove norme che agevolano il cittadino nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, mediante la produzione di autocertificazioni o dichiarazioni sostitutive su propri stati, qualità personali e fatti, in sostituzione delle certificazioni. E' nostro intendimento offrire a chi legge, in sintesi, le indicazioni normative al fine di agevolare concretamente e chiarire la portata e le motivazioni, cui si ispira la suddetta legge. In materia è stata emanata la Direttiva del Ministero della Pubblica Amministrazione che illustra nei dettagli cosa deve fare la P.A.e cosa non può fare. Anzitutto diciamo che dal primo gennaio scorso ogni cittadino può presentare per le sue necessità alla P.A. e ai gestori di servizi pubblici, in sostituzione di certificazioni, dichiarazioni sostitutive riguardanti stati, fatti e qualità personali, quali ad esempio: data e luogo di nascita, residenza, cittadinanza, godimento diritti politici, stato civile, stato di famiglia, esistenza in vita, iscrizione in albi tenuti dalla pubblica amministrazione, situazione reddituale, stato di disoccupazione, di pensionato, iscrizioni presso albi professionali, etc, come previsto dagli artt. 46 e 47 DPR n.445/2000. Al contrario, le certificazioni su diritti e qualità personali vanno rilasciate e sono valide dalla Pubblica Amministrazione solo nei casi in cui il cittadino le debba utilizzare nei rapporti con i privati. In tale ipotesi le certificazioni della P.A.devono recare la seguente dicitura sul certificato, a pena di nullità,"IL PRESENTE CERTIFICATO NON PUO' ESSERE PRODOTTO AGLI ORGANI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE O AI GESTORI DEI PUBBLICI SERVIZI". In mancanza di essa si configura una violazione dei doveri d'ufficio a carico del responsabile di servizio, per espresso dettame legislativo, Dunque la P.A. non può richiedere o accettare dal cittadino certificazioni su stati e qualità personali,mentre è tenuta ad effettuare idonei controlli,anche a campione,in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive,come previsto dall'art.71 del DPR 445/2000. Di conseguenza le Amministrazioni sono tenute ad individuare un ufficio responsabile per tutte le attività atte a gestire e controllare la trasmissione dei dati o l'acceso agli stessi. Senza dubbio trattasi di una ulteriore svolta nell'ambito della attività amministrativa, che rende veloce la risposta al cittadino interessato, il quale non deve sottostare ad una burocrazia che ha sempre reso lenta e tardiva la macchina amministrativa. Anzi si viene a responsabilizzare lo stesso funzionario che deve aggiornarsi nell'interesse collettivo, rendendo servizi efficienti, efficaci e rapidi. D'altronde già il DPR n.445/2000 aveva per la prima volta effettuato una svolta nello snellire le procedure in materia di autocertificazioni ed i risultati sono stati utili. Ci auguriamo che si vada sempre in tale direzione anche per altri aspetti del diritto amministrativo, in modo la rendere la Pubblica Amministrazione moderna, al passo coi tempi e la politica deve avere attenzione in materia a tutela delle aspettative delle comunità amministrate.

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- Giovanni Apadula By
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Un tripudio di commemorazioni e celebrazioni, come puntualmente accade il 27 Gennaio di ogni anno, per non dimenticare la tragedia dell'Olocausto. Un'occasione quanto meno nobile, certo, ma che puntualmente finisce per offendere la verità storica, il buon senso e la dignità di chi quegli orrori li ha veramente vissuti. Il pogrom contro gli ebrei, è del tutto evidente, è stata una delle più grandi, gravi tragedie che la storia abbia mai conosciuto. Un cataclisma forse senza paragoni. Ma, a ben vedere, c'è qualcosa di molto più losco in tutta questa retorica, un qualcosa che ha a che vedere con la struttura stessa del potere, la sua strategia di comunicazione ed i suoi gangli infernali.
La volontà tenace, l'insistenza nel voler cristallizzare quell'ignominia all'interno di un singolo giorno dell'anno, allo scopo di assolutizzarne il valore, costituisce un'operazione abominevole. Quel fatto stesso viene in tal modo ad essere astratto dalla sua realtà storica, che è anche, e soprattutto, realtà sociale, politica ed economica. In un simile contesto, è del tutto automatica la "reductio ad unum" dei crimini efferati del Nazifascismo al "solo" episodio dell'Olocausto. Come se nei campi di concentramento di Auschwitz, Bergen-Belsen o Buchenwald non fossero stati abbandonati al loro destino anche zingari, rom, dissidenti politici e comunisti, tutti uguali nella morte di fronte al delirio purista del totalitarismo. Come se le camicie nere del duce non avessero massacrato operai e dirigenti socialisti durante gli ultimi fuochi del Biennio Rosso e sbarrato le Camere del lavoro. Come se le cosiddette "leggi fascistissime" non fossero mai state emanate e, per ciò stesso, ogni forma di opposizione, politica e non, fosse sopravvissuta.
Se riducessimo tutto ciò che il fascismo ha commesso al solo Olocausto, daremmo un colpo mortale alla verità storica. E il primo errore sarebbe quello di considerarlo un semplice schema ideologico, astrarlo dalla sua realtà e dai suoi processi produttivi. In tal modo, sarebbe assolutamente facile "scorporare" il fascismo del Ventennio, dando adito a tutti i tromboni che si ostinano a parlare di un sedicente "fascismo buono". E così, mentre commossi ed esterrefatti ci accingiamo a celebrare l'ennesima Giornata della Memoria, allo stesso tempo volgiamo lo sguardo dinanzi all'oppressione, del tutto analoga, che vivono gli arabi di Palestina, soggiogati dal purismo altrettanto folle del sionismo israeliano, che nulla ha di diverso dal delirio nazifascista.
Se solo ci degnassimo di guardare alla Striscia di Gaza, ci accorgeremmo che i Palestinesi, il loro Giorno della Memoria (la Nabka), non possono nemmeno commemorarlo: gli è fatto esplicito divieto da una legge della Knesset israeliana. Ognuno, in fondo, è ebreo di qualcuno, sosteneva Primo Levi.
La volontà tenace, l'insistenza nel voler cristallizzare quell'ignominia all'interno di un singolo giorno dell'anno, allo scopo di assolutizzarne il valore, costituisce un'operazione abominevole. Quel fatto stesso viene in tal modo ad essere astratto dalla sua realtà storica, che è anche, e soprattutto, realtà sociale, politica ed economica. In un simile contesto, è del tutto automatica la "reductio ad unum" dei crimini efferati del Nazifascismo al "solo" episodio dell'Olocausto. Come se nei campi di concentramento di Auschwitz, Bergen-Belsen o Buchenwald non fossero stati abbandonati al loro destino anche zingari, rom, dissidenti politici e comunisti, tutti uguali nella morte di fronte al delirio purista del totalitarismo. Come se le camicie nere del duce non avessero massacrato operai e dirigenti socialisti durante gli ultimi fuochi del Biennio Rosso e sbarrato le Camere del lavoro. Come se le cosiddette "leggi fascistissime" non fossero mai state emanate e, per ciò stesso, ogni forma di opposizione, politica e non, fosse sopravvissuta.
Se riducessimo tutto ciò che il fascismo ha commesso al solo Olocausto, daremmo un colpo mortale alla verità storica. E il primo errore sarebbe quello di considerarlo un semplice schema ideologico, astrarlo dalla sua realtà e dai suoi processi produttivi. In tal modo, sarebbe assolutamente facile "scorporare" il fascismo del Ventennio, dando adito a tutti i tromboni che si ostinano a parlare di un sedicente "fascismo buono". E così, mentre commossi ed esterrefatti ci accingiamo a celebrare l'ennesima Giornata della Memoria, allo stesso tempo volgiamo lo sguardo dinanzi all'oppressione, del tutto analoga, che vivono gli arabi di Palestina, soggiogati dal purismo altrettanto folle del sionismo israeliano, che nulla ha di diverso dal delirio nazifascista.
Se solo ci degnassimo di guardare alla Striscia di Gaza, ci accorgeremmo che i Palestinesi, il loro Giorno della Memoria (la Nabka), non possono nemmeno commemorarlo: gli è fatto esplicito divieto da una legge della Knesset israeliana. Ognuno, in fondo, è ebreo di qualcuno, sosteneva Primo Levi.

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Entrerà in vigore a fine mese la nuova imposta che ogni immigrato dovrà pagare per ottenere il permesso di soggiorno, stabilita tra gli 80 e i 200 euro, a seconda della tipologia di permesso richiesto. Questa somma andrà ad aggiungersi ai 70 euro già versati. «Si tratta di una tassa sulla povertà - dice Anselmo Botte, Responsabile del Dipartimento Immigrazione della Cgil Salerno - Una famiglia con due figli a carico sarà costretta a sborsare 320 euro in più soltanto per vedersi rinnovare il permesso di soggiorno della durata di un anno ». Sottolinea Francesco Petraglia, segretario generale Cgil Salerno: «E' paradossale apprendere che la metà degli introiti andranno nelle tasche dei servizi preposti al rinnovo, notoriamente improntati su mal funzionamento ed inefficacia perché per rinnovare il permesso passano in media dai sei ai dodici mesi ». La Cgil, pertanto, si impegnerà per chiedere al governo di cancellare il balzello.

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Sono state inviate in questi giorni circa 450 mila comunicazioni ai pensionati che percepiscono pensioni mensili di importo complessivamente superiore a mille euro, pagate in contanti, per invitarli a comunicare all'Istituto entro il mese di febbraio 2012 la modalità alternative di riscossione, scegliendo tra l'accredito in conto corrente, su libretto postale o su carta ricaricabile. Come è noto, la nuova finanziaria ha stabilito che le Pubbliche Amministrazioni devono utilizzare strumenti di pagamento elettronici, disponibili presso il sistema bancario o postale, per la corresponsione di stipendi, pensioni e compensi di importo superiore a mille euro (limite che potrà essere modificato in futuro con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze). L'adeguamento alle nuove modalità di pagamento dovrà avvenire entro il 6 marzo 2012. Di conseguenza, a partire dal 7 marzo 2012, non potranno essere corrisposte in contanti le pensioni di importo superiore a mille euro.

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Si è appena conclusa la seconda settimana dedicata alla prevenzione dello stalking, che si è svolta dal 21 al 26 novembre nelle scuole superiori delle città di Roma, Milano, Cagliari, Vibo Valentia e Catanzaro. Sono state aggiornate circa 210 persone tra psicologi, avvocati, medici, appartenenti alle forze dell'ordine, professori e genitori e sensibilizzati 900 studenti tra i quali sono emersi 23 casi di stalking (di cui 5 recidivi) presi in carico dai volontari dell'Osservatorio Nazionale Stalking. I colloqui psico-legali sono stati 77, i contatti ricevuti via e-mail e Skype 180. Durante gli incontri è stato visionato in anteprima il cartone animato "Rino e Mina: una storia di stalking a scuola", ora disponibile sul sito internet www.mediacrime.it. Questi numeri confermano quanto lo stalking sia un fenomeno diffuso, trasversale, saldamente radicato nella società; un problema che spesso affonda le sue radici già nelle difficoltà relazionali dell'adolescenza e che non dev'essere mai sottovalutato: "Il più grande problema del mondo poteva essere risolto quand'era piccolo" sosteneva, infatti, Lao Tzu, e l'O.N.S ha fatto sua questa filosofia, ben consapevole che la prevenzione debba iniziare proprio dai più giovani; sappiamo bene come gli inascoltati disagi psicologici che portano ad un comportamento abusante da adulti sono spesso la diretta conseguenza di una gioventù ed un'infanzia carenti di comunicazione e supporto da parte delle figure di riferimento.
Una corretta informazione e l'offerta di un aiuto concreto per agire tempestivamente laddove sia presente il disagio, può efficacemente prevenire i comportamenti aggressivi e le inclinazioni psicologiche che potrebbero portare l'individuo adulto a mettere in atto comportamenti di stalking nei riguardi di altre persone. La forma del disagio cresce e si amplifica nell'isolamento emozionale del giovane psicologicamente fragile che, per arginare la sua sofferenza, cerca di costruire la sua personalità con condotte eterolesive che partono dal contesto scolastico fino alle situazioni dell'età adulta. Da un recente sondaggio (gennaio - ottobre 2011) dell'Osservatorio Nazionale Stalking e Osservatorio sulla Violenza Psicologica condotto su un campione di 400 studenti provenienti da alcuni istituti superiori a livello nazionale di età media 16 anni è emerso che: Il 65% circa, non conosce il termine stalking. Il 25% circa, denuncerebbe lo stalking; il 45% circa, si rivolgerebbe a dei centri specializzati; il 10% circa, è vittima di stalking a scuola (75% sesso femminile - 25% sesso maschile); il 3% circa, è vittima in altri contesti, essenzialmente in famiglia; il 15% circa, è vittima di violenza psicologica; il 4% circa, è autore di stalking (70% circa sesso maschile - 30% circa femminile).
Lo stalking è un fenomeno in buona parte sommerso (ne è vittima un italiano su cinque) e - a fronte delle denunce - il numero delle persone che decidono di non segnalare lo stalker è di gran lunga maggiore, a causa di una generalizzata sfiducia nell'autorità a cui si sommano altri fattori quali la paura di non essere tutelate nella fase successiva alla denuncia, l'impossibilità di sostenere le spese legali (il patrocinio gratuito non è previsto per tutti) e la volontà di aiutare il persecutore, che spesso è un conoscente, un ex-partner, un collega. Uno stalker su tre continua a perseguitare la vittima anche dopo la denuncia, talvolta perfino dopo la condanna, spesso con un'intensità e ferocia maggiori che nel periodo precedente: siamo fermamente convinti che senza prevenzione e senza recupero, lo stalker "in erba", così come lo stalker "manifesto" non potranno essere fermati (la recidiva e serialità dello stalking sono altissime), almeno non con la mera coercizione e non se si eviterà ancora, irresponsabilmente, di fare ricorso agli efficaci strumenti che la psicologia ci fornisce per lavorare sulle cause che hanno portato un soggetto (lo stalker) a dipendere affettivamente dagli altri e a non avere la capacità di superare l'abbandono. La legge 612-bis non prevede un percorso di risocializzazione indirizzato allo stalker, e senza questo strumento essenziale è impossibile augurarsi che il fenomeno possa essere contenuto con la sola coercizione.
A questo scopo, dal 2007 l'Osservatorio Nazionale Stalking ha istituito il Centro Presunti Autori il cui obiettivo è quello di recuperare gli stalker con percorsi di psicoterapia mirati ad una presa di coscienza del problema e all'elaborazione di dolorosi vissuti personali non superati con un supporto specializzato coordinato da esperti. Tutto gratuito, naturalmente. I persecutori risocializzati, ad oggi, sono 120: il 40% ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, nel 25% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell'attività vessatoria, della recidiva e la prevenzione degli agiti più gravi. In una società improntata ad una crescente insicurezza in tutti gli ambiti è sempre più difficile gestire le relazioni interpersonali prevenendone le complicazioni dovute alle percezioni abbandoniche. Il lavoro di cui si sente urgente necessità, e che l'Osservatorio Nazionale Stalking conduce da anni, deve consistere nell'accompagnamento delle persone coinvolte in atti persecutori nel difficile percorso della separazione e del distacco affettivo.
Non è sufficiente fare ricorso alla giustizia punitiva, ma corroborare quest'azione con la giustizia riparativa: le azioni moleste, violente, e lesive della libertà personale vanno condannate con fermezza, ma è imprescindibile un recupero delle persone sotto il profilo psicologico, in quanto gran parte degli stalker presenta una struttura di personalità patologica, che non permette loro di elaborare e superare un abbandono. Un intervento preventivo (coinvolgendo le scuole, il personale docente e i genitori nel progetto informativo) - ma anche in medias res - assicurerebbe il contenimento degli agiti più gravi, dalle minacce all'omicidio, che caratterizzano le fasi finali e più atroci dello stalking, permettendo una risocializzazione dei presunti autori e un reinserimento nella società. Senza il ricorso a strumenti preventivi della violenza, la giustizia rimarrà sempre un'amara ed inutile considerazione "postuma", rievocata come un fantasma ogni volta che le drammatiche notizie degli omicidi passionali spiccano sui giornali, facendo prendere alle nostre domande la forma di un'invocazione: "questa tragedia si sarebbe potuta evitare?".
Una corretta informazione e l'offerta di un aiuto concreto per agire tempestivamente laddove sia presente il disagio, può efficacemente prevenire i comportamenti aggressivi e le inclinazioni psicologiche che potrebbero portare l'individuo adulto a mettere in atto comportamenti di stalking nei riguardi di altre persone. La forma del disagio cresce e si amplifica nell'isolamento emozionale del giovane psicologicamente fragile che, per arginare la sua sofferenza, cerca di costruire la sua personalità con condotte eterolesive che partono dal contesto scolastico fino alle situazioni dell'età adulta. Da un recente sondaggio (gennaio - ottobre 2011) dell'Osservatorio Nazionale Stalking e Osservatorio sulla Violenza Psicologica condotto su un campione di 400 studenti provenienti da alcuni istituti superiori a livello nazionale di età media 16 anni è emerso che: Il 65% circa, non conosce il termine stalking. Il 25% circa, denuncerebbe lo stalking; il 45% circa, si rivolgerebbe a dei centri specializzati; il 10% circa, è vittima di stalking a scuola (75% sesso femminile - 25% sesso maschile); il 3% circa, è vittima in altri contesti, essenzialmente in famiglia; il 15% circa, è vittima di violenza psicologica; il 4% circa, è autore di stalking (70% circa sesso maschile - 30% circa femminile).
Lo stalking è un fenomeno in buona parte sommerso (ne è vittima un italiano su cinque) e - a fronte delle denunce - il numero delle persone che decidono di non segnalare lo stalker è di gran lunga maggiore, a causa di una generalizzata sfiducia nell'autorità a cui si sommano altri fattori quali la paura di non essere tutelate nella fase successiva alla denuncia, l'impossibilità di sostenere le spese legali (il patrocinio gratuito non è previsto per tutti) e la volontà di aiutare il persecutore, che spesso è un conoscente, un ex-partner, un collega. Uno stalker su tre continua a perseguitare la vittima anche dopo la denuncia, talvolta perfino dopo la condanna, spesso con un'intensità e ferocia maggiori che nel periodo precedente: siamo fermamente convinti che senza prevenzione e senza recupero, lo stalker "in erba", così come lo stalker "manifesto" non potranno essere fermati (la recidiva e serialità dello stalking sono altissime), almeno non con la mera coercizione e non se si eviterà ancora, irresponsabilmente, di fare ricorso agli efficaci strumenti che la psicologia ci fornisce per lavorare sulle cause che hanno portato un soggetto (lo stalker) a dipendere affettivamente dagli altri e a non avere la capacità di superare l'abbandono. La legge 612-bis non prevede un percorso di risocializzazione indirizzato allo stalker, e senza questo strumento essenziale è impossibile augurarsi che il fenomeno possa essere contenuto con la sola coercizione.
A questo scopo, dal 2007 l'Osservatorio Nazionale Stalking ha istituito il Centro Presunti Autori il cui obiettivo è quello di recuperare gli stalker con percorsi di psicoterapia mirati ad una presa di coscienza del problema e all'elaborazione di dolorosi vissuti personali non superati con un supporto specializzato coordinato da esperti. Tutto gratuito, naturalmente. I persecutori risocializzati, ad oggi, sono 120: il 40% ha raggiunto un completo contenimento degli atti persecutori, nel 25% dei casi si è verificata una significativa diminuzione dell'attività vessatoria, della recidiva e la prevenzione degli agiti più gravi. In una società improntata ad una crescente insicurezza in tutti gli ambiti è sempre più difficile gestire le relazioni interpersonali prevenendone le complicazioni dovute alle percezioni abbandoniche. Il lavoro di cui si sente urgente necessità, e che l'Osservatorio Nazionale Stalking conduce da anni, deve consistere nell'accompagnamento delle persone coinvolte in atti persecutori nel difficile percorso della separazione e del distacco affettivo.
Non è sufficiente fare ricorso alla giustizia punitiva, ma corroborare quest'azione con la giustizia riparativa: le azioni moleste, violente, e lesive della libertà personale vanno condannate con fermezza, ma è imprescindibile un recupero delle persone sotto il profilo psicologico, in quanto gran parte degli stalker presenta una struttura di personalità patologica, che non permette loro di elaborare e superare un abbandono. Un intervento preventivo (coinvolgendo le scuole, il personale docente e i genitori nel progetto informativo) - ma anche in medias res - assicurerebbe il contenimento degli agiti più gravi, dalle minacce all'omicidio, che caratterizzano le fasi finali e più atroci dello stalking, permettendo una risocializzazione dei presunti autori e un reinserimento nella società. Senza il ricorso a strumenti preventivi della violenza, la giustizia rimarrà sempre un'amara ed inutile considerazione "postuma", rievocata come un fantasma ogni volta che le drammatiche notizie degli omicidi passionali spiccano sui giornali, facendo prendere alle nostre domande la forma di un'invocazione: "questa tragedia si sarebbe potuta evitare?".

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Salerno. "La disoccupazione è una tragedia morale, non solo perché crea miseria ma perché impedisce all'uomo la possibilità di costruire se stesso e di servire la comunità". E' quanto dichiara in una dura nota il responsabile dell'Ufficio Pastorale del Lavoro dell'arcidiocesi salernitana, don Aniello Del Regno. Il presbitero ha richiamato tutti ai principi di solidarietà e carità in un momento particolarmente difficile per i tanti lavoratori che si trovano a fare i conti con stipendi non pagati o licenziamenti: "Non è possibile che dietro al lavoro ci sia solo il criterio della convenienza economica". Un appello e un richiamo chiaro e deciso rivolto a imprenditori e politici, affinché ognuno si prodighi secondo i valori irrinunciabili della dignità della persona, del bene comune e della solidarietà che, nonostante la crisi economica che la provincia sta vivendo, non devono e non possono essere messi in secondo piano. L'Arcidiocesi di Salerno esorta pertanto le istituzioni e le forze produttive a realizzare ogni sforzo per salvare i livelli occupazionali, tenendo ben presente che "l'uomo ha bisogno di realizzarsi e di vivere il lavoro come l'espressione di un contributo al progresso della società". In questa difficile situazione "la Chiesa esprime solidarietà e cammina a fianco di chi ha perso il lavoro, di chi ha paura del domani e alle tante famiglie che con intrepido coraggio continuano la loro missione, offrendo a ciascuno una boccata d'ossigeno attraverso le parrocchie e le strutture di solidarietà. Risposte limitate - confessa don Aniello - ma segno di una comunità ecclesiale che vuole partecipare e condividere le precarietà di tanti".

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